“Non pensate di annegare i vostri dispiaceri nell’alcol. Sanno nuotare.”
(Albert Willemetz)
La storia della Distilleria Bonollo è stata ricostruita attraverso la raccolta di alcuni frammenti di memoria che ci sono pervenuti. Purtroppo non è rimasto nulla dei segreti del mestiere, una serie di reperti quali lettere, libri contabili, scatole di etichette sono stati fondamentali per cercare di ricomporre un puzzle che risultava incompleto.
La Distilleria Bonollo venne fondata nei primi del ‘900 da Attilio Bonollo, un imprenditore e commerciante, originario di Thiene, che si era trasferito sulla Riviera del Brenta alla fine dell’ ‘800, in una villa padronale fronte canale con un magazzino nella corte interna, che anticamente prendeva il nome di Borgo Roma. Si sviluppò come attività complementare al commercio di legname già esistente. Tra i suoi clienti figuravano le ferrovie dello Stato per le quali costruiva le traversine in legno. La vicinanza al fiume Brenta, allora navigabile, consentiva una distribuzione capillare dei prodotti sul territorio.
Tito Bonollo, mio nonno, fu l’unico dei cinque figli a proseguire l’attività imprenditoriale paterna. Negli anni venti, dopo la morte del padre, chiese alla matrigna, proprietaria di una fabbrica di laterizi a Mestrino, di affiancarlo come socia nella gestione dell’impresa familiare. Introdusse un nuovo modello di produzione, reinterpretando le idee di riformismo sociale con la costruzione di una sorta di cittadella industriale, che annetteva al corpo principale dell’edificio artigianale una schiera di case riservate agli operai. Le case ci sono ancora, vennero cedute a terzi nella prima metà del ‘900. La corte interna continuava a essere il principale punto di raccordo tra le varie attività distribuite nei vari locali. Si accedeva alla distilleria attraverso l’unico accesso possibile lungo via Don Minzoni, prospiciente il canale Brenta.
È importante sottolineare che nel logo delle carte intestate veniva descritta come “Distilleria Agraria”, un indizio rivelatore che implicava che i prodotti primari potevano essere distillati anche da altre aziende o per conto terzi.
Dalla corrispondenza sono emersi moltissimi scambi commerciali con la Sicilia, specialmente per la distribuzione del Marsala. L’attività varcava i confini del Veneto, privilegiando i contatti con il Piemonte. Abbiamo trovato delle lettere di ringraziamento dalla Casa Reale.
Nel catalogo della Distilleria Bonollo c’erano circa una trentina di prodotti alcolici tra liquori e vini, con una propria produzione di acquavite superiore, cognac, elisir di china, grappa di Piemonte (la versione dell’acquavite classica all’anice), liquore giallo e rhum. Il liquore giallo rimane tuttora un enigma, non ci è stato tramandato nessun ricettario, probabilmente un richiamo indiretto al liquore di Benevento, lo Strega, un liquore che veniva colorato con la zafferano, a base di erbe aromatiche, in commercio già a partire dal 1860. La ricetta originaria pare che contenga almeno una settantina di ingredienti segretissimi, tra cui figurano la menta e il finocchio. In realtà esistevano varie versioni, una sarda, un’altra distillata nei conventi, e a quanto pare anche una versione di mio nonno Tito, una libera interpretazione del classico digestivo allo zafferano.
Riordinando il materiale cartaceo è stato utilissima la lettura de Il manuale pratico per la fabbricazione dei liquori, sciroppi e gazzose, di M. A. Maragliano, una seconda edizione pubblicata nel 1920. Il libro reca in prefazione una dedica proprio a Riccardo Subinaghi, uno dei più importanti distributori di essenze spiritose, fornitore anche della Distilleria Bonollo.
Le cosiddette “essenze spiritose” venivano preferite agli oli essenziali nella fabbricazione di liquori, primo fra tutti il Fernet, le essenze di Bitter e Amari, e quelle di qualche Elisir. Gli oli essenziali avevano generalmente la funzione di profumo e di gusto pari all’1 per mille, di modo che un chilo di olio essenziale poteva bastare per la preparazione di mille litri di liquori. Poco solubili nell’acqua, generalmente venivano usati combinati all’alcol o etere.
Le essenze spiritose si erano diffuse per sopperire alla mancanza di omogeneità derivata dalla distillazione di erbe, radici, fiori, per i quali occorrevano processi di distillazione a temperature diverse. L’operazione consisteva nella distillazione a parte di ogni singola sostanza con speciali apparecchi, e poi nella successiva mescolanza di sostanze diverse per ottenere infusioni concentratissime. Le essenze spiritose venivano scelte anche per questioni economiche, la resa era indubbiamente superiore, di 3, 5 e anche 10 volte. In realtà la dose e la quantità venivano spesse taciute per non rivelare le ricette degli ingredienti a possibili concorrenti.
Per alcune essenze spiritose, in particolare quelle di Rhum, Cognac, Grappa, bisognava prima creare una base iniziale, ottenuta dopo precise reazioni chimiche e distillazioni diverse.
La vitalità e attività della Distilleria venne interrotta bruscamente da un tragico evento, Tito Bonollo morì prematuramente in seguito ad una peritonite nel luglio del 1935. Mia nonna ereditò l’onere di dover gestire l’impresa da sola insieme alla suocera, che però morì due anni dopo.
In breve tempo la situazione diventò sempre più ingestibile, le leggi fasciste sulle licenze e la penuria di materie prime, prima tra tutte lo zucchero, unite alle difficoltà oggettive del periodo storico spinsero mia nonna a cedere l’attività. I razionamenti erano già iniziati prima della Seconda Guerra Mondiale. Le barbabietole da zucchero venivano riservate all’industria bellica per la produzione di polvere senza fumo, un propellente per proiettili a combustione rapida.
La Distilleria Bonollo cessò di esistere in concomitanza con la Seconda Guerra Mondiale. Da allora l’edificio artigianale ha ospitato molte attività imprenditoriali locali (una fabbrica di mosaici, una camiceria, una falegnameria) fino a diventare un setting desolato, non operativo ormai da più di trent’anni.
L’impulso progettuale del nostro intervento è nato proprio dall’esigenza primaria di rianimare e riabitare i luoghi creando dei veri e propri spazi di benessere che reinterpretassero in chiave moderna la memoria storica del luogo.
P.S. Giovedì scorso abbiamo presentato all’Ecomuseo di Mira Porte, la storia e riqualificazione della Distilleria Bonollo
Se avete occasione di visitare il Museo, rimarranno esposte fino a giovedì 22 Settembre alcune tavole del progetto e parte della collezione di etichette antiche insieme ad alcuni strumenti di lavoro tra cui:
– l’alcoolimetro di Gay-Lussac (risalente agli anni venti, una volta presa la misurazione bisognava confrontarla con una tabella che elencava la giusta gradazione alcolica a temperatura ambiente, che generalmente si abbassava di 4°);
– l’acetimetro (strumento per misurare il tenore di acido acetico – il cosidetto anidro indicato nelle etichette, sostanza priva d’acqua);
– l’areometro di Baumé: un densimetro che permetteva di misurare la concentrazione di soluzioni acquose. Si procedeva empiricamente utilizzando soluzioni di riferimento a densità nota e ricavando poi per divisione la graduazione della scala. L’unità di misura impiegata è il grado Baumé (dal nome dell’inventore Antoine Baumé 1728-1804). Poichè il contenuto di alcool potenziale d’un vino è basato sul presupposto che l’intero zucchero fermenterebbe, un grado di Baumé (°Bé) corrisponde all’incirca a 17 – 18 grammi di zuccheri in 1 Litro di mosto, ovvero il vino risultante da un ipotetico mosto a 1°Bé dovrebbe presentare un contenuto dell’ 1% di alcool in volume.
– il vinometro, strumento per la misurazione della gradazione alcolica del vino.
TO BE CONTINUED…WIP
concordo. Molto raffinate…
appassionante! Andrò al museo per vedere i reperti.