Voli pindarici

Stamattina mi sono messa a sfogliare una vecchia antologia di letteratura greca, l’occhio è caduto su Pindaro, noto per i “voli pindarici”, frase fatta che si cita obbligatoriamente ogni volta che viene nominato. Un genio della poesia celebrativa o encomiastica. Della vita di Pindaro, sappiamo ben poco, nato a Tebe intorno al 518 a.C. , di origine aristocratiche, pare che abbia avuto come maestro Apollodoro, ma vaghi sono i resoconti delle sue peregrinazioni, a parte un documentato soggiorno alla corte di tre tiranni in Sicilia, Gelone, Terone e Ierone, in un arco di tempo che copre dieci anni, dal 476 al 466, per poi rientrare in Grecia, al servizio di varie famiglie.

Le regole previste per comporre un epinicio, il canto della vittoria, non erano proprio uno stimolo per la creatività, bisognava seguire un programma preciso:

1)    nominare il vincitore e i parenti

2)    elencare le fatiche dell’allenamento includendo possibilmente un elogio dell’allenatore

3)    nel caso di vittoria con quadrighe, citare il nome di chi aveva guidato l’auriga

4)    celebrare il luogo dove si era svolta la gara con episodi che rievocassero miti e leggende

5)    essere originali nella composizione

6)    accogliere varie e/o eventuali richieste specifiche del committente

I voli pindarici erano in realtà il tentativo riuscito di mascherare l’obbligatorietà dei fatti da ricordare con degli scorci o frammenti di mito, episodi che venivano rielaborati solo parzialmente. Una lingua che per forza doveva procedere per metafore e metonimie, il sole era “il padre dei raggi”, i lampi “gli aurei capelli dell’aria”, l’Etna “la colonna del cielo, perenne nutrice di acuto gelo”. Amato moltissimo dai poeti inglesi del ‘600, ma anche dai romantici, Wordsworth (mai nome fu più appropriato), Shelley, Coleridge, ispirati dalla combinazione di immagini che formalmente non avevano un nesso logico tra loro. Obbedendo a una severa costrizione metrica, Pindaro invece riusciva sempre a sorprendere ed era imbattibile, vinceva tutte la gare.

Un esempio da ricordare ogni volta che qualche parente si improvvisi poeta corale a qualche festa. Azzittirli con Pindaro:

L’acqua è il bene supremo, e l’oro,

risplende come il fuoco fiammeggiante di notte,

ma nulla corrisponde alla ricchezza di un grande uomo,

ma se volete che il mio cuore parli dei giochi atletici

non troverete nel cielo vuoto di ogni stella

nulla più cocente del sole.[1]


[1] Incipit della I Olimpica.

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