La chiave di Barbablù

Ieri mi sono messa a rileggere la storia di Barbablù, un utile ripasso. Barbablù, Bluebeard, Barbe bleue, Blaubart come lo si voglia chiamare è una “fiaba” macabra che bisogna studiare con attenzione, perché anche se è un racconto cruentissimo basato su un uxoricida seriale, è di fatto la rivisitazione di una tipologia maschile ricorrente, il predatore naturale.

Confesso che non mi ricordavo che Barbablù facesse una brutta fine, chissà perché lo immaginavo un po’ come Dracula, condannato a brancolare in eterno nell’oscurità, invece viene massacrato dai fratelli dell’ultima sposa, le sue cartilagini lasciate in pasto alle poiane, che nel dizionario vengono descritte come uccelli rapaci diurni, comunissimi, con occhi ben sviluppati, ali lunghe, non appuntite e carattere timido…

Nella versione analizzata in dettaglio dalla mitica Clarissa Pinkola Estés nell’altrettanto mitico Donne che corrono con i lupi, che è meglio in lingua inglese, il racconto le è stato tramandato dalla zia ungherese Katie di Dombovar e si riallaccia a una fiaba ancora più antica.

Barbablù si mette a corteggiare contemporaneamente tre sorelle, le invita nel suo castello, le riempie di attenzioni e di regali. Le sorelle maggiori seguono il loro istinto, da subito diffidano del colore della sua barba, e respingono le avances al mittente, la più piccola, che è la meno esperta, e la più ingenua, a poco a poco comincia a convincersi che in fondo la barba non è poi così blu, che la vita agiata nel castello è meglio di quanto immaginasse, e accetta la proposta di matrimonio. Come accade in tutte le fiabe, la salvezza è sempre legata alla disobbedienza a un divieto, non rispettare un ordine preciso. Il marito si allontana per un misterioso viaggio d’affari, le chiede di invitare le sue sorelle, ma si raccomanda di non usare una unica chiave, la chiave piccola con la spirale in cima. Neanche detto, appena il marito sale a cavallo, la chiave piccola con la spirale in cima ha l’attenzione che merita. Dopo aver organizzato un banchetto con le sorelle, si mette a perlustrare ogni stanza, finché non arriva in cantina, e lì una volta aperta l’unica porta che non doveva essere aperta lo spettacolo si fa inquietante: un lago di sangue pieno di scheletri. La piccola chiave comincia a grondare sangue, tenta di ripulirla con uno strofinaccio, ma niente, il sangue continua a scorrere a fiumi, alla fine, disperata, copre la chiave di cenere, le dà fuoco, ma non cambia nulla, la chiave resta insanguinata, allora decide di nasconderla nell’armadio e si cambia d’abito.

Barbablù, che ha un istinto infallibile, appena torna al castello, chiede subito della chiave, la moglie racconta trafelata che l’ha persa cavalcando nel bosco, lui va in camera, apre l’armadio e vede che tutti i vestiti della moglie grondano sangue, la prende per i capelli e l’accusa di “tradimento”. La sentenza è immediata, esecuzione anche per lei, annunciata senza tanti preamboli: “Ora tocca a te, mia signora.”

La moglie ha un lampo di genio, gli chiede un quarto d’ora per pregare. La richiesta viene fortunatamente accolta, chiede allora alle sorelle di invocare l’intervento provvidenziale dei fratelli e i fratelli arrivano. Quel poco tempo comprato per una preghiera, la salva da una morte certa, mentre per Barbablù non c’è più scampo.

La lezione fondamentale che la Estés trae dalla fiaba è la deviazione da un istinto che ci avverte del pericolo e che spesso non ascoltiamo, perché non abbiamo abbastanza fiducia nelle nostre percezioni. In molti casi questa scarsa consapevolezza è dovuta a un’educazione che fin da piccole ci insegna a calpestare le nostre intuizioni, a renderci sempre e comunque carine, in pratica a non vedere, e diventare facilmente preda di collezionisti di tesori.

Nell’antichità invece nei riti dei misteri eleusini la chiave veniva significativamente nascosta sotto la lingua, proprio a indicare che la risposta stava nella parola, nella soluzione legata a una domanda chiave.

Le domande quindi non solo vanno poste, ma devono ricevere una risposta, una volta scoperte delle verità scomode, non si può più fare finta di non avere visto e volgere lo sguardo altrove:

“Non abbiate paura di indagare il peggio. Soltanto così è garantito un aumento del potere dell’anima.”[1]


[1] p. 58, Barbablù in Donne che corrono con i lupi, traduzione di Maura Pizzorno, Frassinelli, 1993.

10 pensieri su “La chiave di Barbablù

  1. Sicuramente c’è un gran fondo di verità in tutte le favole, la famosa morale da cui ne doveva conseguire un elemento in più da aggiungere all’educazione. Certo, come dice Marta, di fronte a qualsiasi divieto scatta la curiosità ad ogni costo, anche a rischio di pericolo, ma una volta accesa la lampadina, non la si spegne più, nè da piccoli nè (soprattutto) da grandi. A quel punto dovrebbe intervenire il buonsenso che non sempre c’è (la curiosità galoppa come un cavallo alle corse), e solo attraverso la scoperta, il disvelamento comprendere e fare bagaglio della famosa morale. Solo che il percorso purtroppo non sempre si conclude bene, rovinando tutta la storia con eventi e fatti che mai avremmo immaginato.

    1. sì, certo nella vita le dinamiche sono più complesse, però la consapevolezza di sé comporta sempre degli sforzi, affrontare anche delle verità difficili da accettare…credo che comunque in questo caso la tentazione di vedere che porta aprisse quella piccola chiave l’avrebbe avuta chiunque…

      1. Verissimo, ti dirò che a me ha colpito anche la reazione, ma come, scopre quell’orrore e nasconde la chiave? Significativo…

      2. È probabilmente peggiore la paura di deludere chi ha riposto in noi la fiducia; è come se avessimo superato quella soglia dell’oltrepassabile (che senza alcuna giustificazione) che ci mette dalla parte dei cattivi, forse a pari merito!
        Ma queste poi si sa, sono favole..o almeno così credevamo che fossero!!

  2. Fin da piccole ci riempiono la testa di baggianate (per lo più) e poi…
    Bella storia, questa, del predatore naturale….
    ….. il divieto di non fare un qualcosa è scatenante quasi si è obbligati fare l’esatto contrario…è come un campanello d’allarme, l’intuizione fa il resto..

    buona giornata Carla
    .marta

    1. Buongiorno Marta 🙂

      Grazie, è un libro che è bene consultare di tanto in tanto…Hai ragione, comunque l’esperienza con un potenziale predatore prima o poi capita a tutte, purtroppo, ma poi la lezione si impara…

      1. no no si impara, ti assicuro che una volta conosciuta quella tipologia di uomo, che è molto comune, l’esperienza lascia delle cicatrici, per cui anche se si camuffa, non ti frega più…

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