I bisticci della paronomasia

Ho notato che molti cliccano spesso lo spazio riservato alle figure retoriche fai-da-te, oggi allora dedico qualche riga alla paronomasia, letteralmente “mutamento di nome”, nota anche come annominazione, bisticcio, che consiste nell’accostare parole di significato diverso ma simili per attinenza fonetica, o per parentela etimologica o formale. Questa volta lo Zingarelli non cita Dante ma un verso di Montale:

Trema un ricordo nel ricolmo secchio.

Esempio elegantissimo, dove persino il secchio acquista una sua dignità linguistica. Nel linguaggio parlato ci dobbiamo per forza allontanare da tanta eloquenza, facendoci sorprendere dai cosiddetti strafalcioni, parole che per sbaglio ne ricordano altre.

Una signora, vestita in jeans, camicia a scacchi e tshirt bianca, si è presentata dicendo “scusate, oggi sono in déshabillé”. Tutte hanno annuito in silenzio, era evidente che voleva dire casual, il famoso nu jeans e na maglietta…e qui l’attinenza era solo nella sua testa, mettendo in pratica il classico fischi per fiaschi.

“Guarda che il troppo stroppia.”

“Ma si dice stroppia o storpia?”

“Non so, io ho sempre detto stroppia.”

“Beh si può dire anche storpia…”

“Mai sentito…”

Viene in soccorso google, con la risposta forbita dell’Accademia della Crusca, il troppo stroppia (o storpia).

Coro: “Vedi?”

“Stroppiare è una variante di storpiare.”

“Ok, ok, il troppo è troppo.”

Sorriso sornione.

“Ma tu dici storpia?”

“No, io dico stroppia.”

“Che non è proprio comune.”

“È un modo di dire.”

“Sarà…Io non lo uso.”

Non se ne viene a capo, rimane ineguagliabile Francesco Petrarca con il sonetto Cxxxiv “Pace non trovo e non ho da fare guerra” del suo Canzoniere, nell’abbinamento raffinato tra ghiaccio e giaccio la paronomasia trova finalmente giustizia:

 

Pace non trovo, et non ò da far guerra;


e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;


et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra;


et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.


 

Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,


né per suo mi riten né scioglie il laccio;


et non m’ancide Amore, et non mi sferra,


né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.



Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;

 

et bramo di perir, et cheggio aita;


et ò in odio me stesso, et amo altrui.



Pascomi di dolor, piangendo rido;


egualmente mi spiace morte et vita:


in questo stato son, donna, per voi.

4 pensieri su “I bisticci della paronomasia

  1. Anche da noi si usa moltissimo “stroppia”….
    Nel dialetto sardo ” su pizzinnu chi non istada attentu s’istroppiada” trad. Il bambino non sta attento si fa male…

    per dire…

    Molto, molto interessante questo tuo post…e il verso di Montale è stupendo…

    Grazie
    buona giornata
    .marta

    1. Ciao Marta,
      insomma “io ti stroppio” mi sembra di capire sia usatissimo, evvai!! Buona giornata anche a te, :)…il ricordo tremulo riflesso nel secchio ha un suo perché…

  2. …a Napoli l’espressione “stroppiare” (struppià) è molto usata, e significa letteralmente “storpiare qualcuno; rovinare fisicamente qualcuno (anche un lavoro, una attività); picchiare”; ha un equivalente nello spagnolo, dove “estropear” significa “rompere; rovinare; guastare qualcosa; sciupare; deturpare; storpiare…” 🙂

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