Il Ritorno dei Classici: I’m incurably romantic

Il prossimo appuntamento con il Ritorno dei Classici è Das Kapital, Il Capitale di Karl Marx nella traduzione del genovese Gerolamo Boccardo, unica versione italiana fino al dopo guerra, che riunì in unico volume 43 dispense, l’analisi critica del testo e delle implicazioni del manoscritto originale è ancora in corso, e allora mi sono detta, ma perché anticipare i tempi, aspettiamo, meglio procedere con un’attenta ricerca filologica con nuove interpretazioni, ho riposto il tomo sullo scaffale e sono stata immediatamente attratta da una figura spesso sottovalutata, Anne Brontë, la minore delle tre sorelle scrittrici – citata per Agnes Grey, la vita di un’istitutrice, romanzo inserito nei programmi accademici, e che uscì in contemporanea con Wuthering Heights, il capolavoro della geniale Emily. Anne ci riprovò l’anno successivo con The Tenant of Wildfell Hall, pubblicato in tre volumi sempre con lo pseudonimo di Acton Bell, tradotto in passato in italiano con il titolo Il segreto della Signora in nero, e poi successivamente con La Signora di Wildfell Hall, dalla raffinata casa editrice Neri Pozza, perdendo l’ambiguità di genere dell’inquilino, non specificata nell’inglese tenant.

La sorella maggiore Charlotte disapprovò il romanzo, una trama sconveniente che raccontava la storia di una donna che abbandonava il marito, e il ritratto di un uomo che beveva, violento, basato sulla figura tormentata del fratello artista, Maria Branwell, che sognava una carriera letteraria e fece una brutta fine, rovinato dall’oppio. Una scelta all’epoca considerata immorale, il raggio di azione di una donna era limitato all’educazione dei figli e al volere del marito. Anne invece non ascoltò nessuno e decise di dare libero sfogo all’immaginazione, sorprendentemente fervida, considerando che il suo mondo erano i libri, i paesaggi gelidi dello Yorkshire, e i precetti di un padre vicario.

Come ogni buon romanzo vittoriano i luoghi sono fondamentali, i giardini ordinati sono contrapposti alla brughiera selvaggia in cui troneggiano le passioni, Palazzo Wildfell ha già nel nome il rimando a una domesticità compromessa. Leggo la dedica, e scopro che il libro viene dagli Stati Uniti, un’edizione del 1979, piena di sottolineature non mie, di Donna, e da come sottolinea Donna, Donna sa il fatto suo. Partiamo subito con l’inizio, una lettera a Jack Hallford, l’argomento anticipa il tema del libro, il resoconto di un episodio fondamentale nella vita del narratore, una confidenza che occuperà parecchi capitoli, una cartolina di Tamira il citareda di A. A. Esxter comprata a Ca’ Pesaro a Venezia – mostra sui bozzetti teatrali – infilata a pagina 80 segnala che la lettura in inglese si è interrotta al capitolo 7, e visto che è passato un po’ di tempo, si ricomincia daccapo.

Non siamo più nel 1848, ma nell’autunno del 1827, Gilbert, un giovane gentiluomo di campagna racconta nella lettera di come sia stato costretto dal padre a occuparsi degli affari di famiglia, ha una sorella più giovane che si chiama Rose e un altro fratello, Fergus, rosso di capelli e più vivace di carattere. Mentre la madre prepara il tè ai figli, Fergus fa sapere che tanto per cambiare si è divertito a cacciare tassi con l’aiuto dei cani, la notizia del giorno è che qualcuno è andato ad abitare a Wildfell Hall, un Palazzo accogliente quanto una rovina, si tratta di una giovane donna, una certa Mrs Graham, tutta vestita in nero, cortese ma piuttosto riservata. Non sono riusciti a scoprire altro, né Mrs Graham ha incoraggiato il dialogo.

Il giorno dopo madre e figlia vanno a farle visita, le offrono anche qualche consiglio non richiesto di cucina, e tornano a casa ancora più perplesse, Mrs Graham sembra essere planata da un altro pianeta, una vedova solitaria, troppo bella e troppo giovane per chiudersi in un palazzo dall’aria tetra. Aspettano con ansia che arrivi domenica per incontrarla a messa, lo stesso Gilbert è diventato impaziente, Mrs Graham non delude le aspettative, alta, capelli corvini, ciglia lunghissime, naso lievemente aquilino, carnagione chiara, impegnata a leggere il breviario fino a che non incrocia il suo sguardo, Gilbert è colpito. Eliza, la figlia del vicario, non regge il confronto, una ragazza di campagna dalla guance rosate. Segue una descrizione minuziosa degli ex abitanti di Wildfell Hall. Fine della prima lettera. E siamo a pagina 44, inutile dirvi che l’amico Hallford attende il seguito della storia che non sarà breve.

Sono passati solo due giorni, e martedì Gilbert con la scusa della caccia decide di andare a perlustrare l’area intorno a Wildfell Hall, occupata da pecore e mucche. L’edificio in pietra grigia di epoca elisabettiana è in pessime condizioni, qualche pino sopravvissuto alle tempeste, i campi abbandonati. Il giardino non è il classico giardino inglese ma è pieno di rovi ed erbacce, Gilbert intanto ha già fatto secchi un falco e due corvi lungo il tragitto, vede uscire del fumo da uno dei caminetti, e oltre il giardino un piccolo bambino con i capelli castano chiari, gli occhi azzurri, che si mette a giocare con il cane, poi si arrampica sul muretto e Gilbert riesce a prenderlo in braccio prima che faccia una brutta caduta. Quando Mrs Graham vede il bambino con Gilbert, esce fuori come una furia per riprenderselo. Gilbert è sorpreso che lei conosca il suo nome, Gilbert Markham è stato notato. Tanti saluti e grazie, Gilbert torna a casa di cattivo umore, pausa necessaria con la figlia del vicario, Eliza Millward, fortunatamente il vicario è uscito, ed Eliza lo accoglie con affetto, Gilbert è persino geloso delle carezze riservate al gatto.

Mrs Graham continua a ronzare nei pensieri di Gilbert…

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