#Gulliver #IIpuntata

Devo lamentare che le carte sono mischiate male fin quando non ho una buona mano

Si riparte con Gulliver chiuso in un tempio incatenato dai lillipuziani..

L’imperatore è alto come un’unghia di Gulliver – Gulliver questa volta è sobrio. Naso aquilino, virile nel suo piccolo, corona decorata a dovere con pietre preziose e una piuma, e una veste orientale ma anche vagamente europea, non parla nessuna lingua che Gulliver conosca. Gulliver gli rivolge la parola prima in tedesco e in olandese, poi in francese, spagnolo, latino – come ultima spiaggia – con scarsi risultati, viene preso a frecciate, si difende come può, e messo alle strette lancia lillipuziani fuori dalle tasche come insetti fastidiosi. Dopo tutto la guerra è guerra.

Nel regno si è sparsa la voce dell’arrivo di questo strano essere, difficile da nutrire per dimensioni e peso, e di cui l’imperatore non sa che farsene, non sanno come liberarsi della sua carcassa, hanno pure paura che il cadavere provochi delle epidemie. Dopo complesse trattative, scelgono un approccio più amichevole.

Viene dato ordine a seicento lillipuziani di accamparsi notte e giorno fuori dalla mole di Gulliver. Trecento hanno il compito di cucirgli un vestito adeguato alle mode del tempo – la moda è sempre stata di moda – sei maestri tentano di insegnargli il lillipuziano – when in Lilliput do as the Lilliputians do. Il lillipuziano non è poi così difficile, dopo tre settimane Gulliver comincia a capire qualcosa al punto che firma un accordo di pace con il non più temibile capo dei lillipuziani. Viene redatto un inventario dei suoi effetti personali, classificati come oggetti dell’uomo-montagna. Gulliver ci informa che per accedere al servizio di segretario di corte bisogna fare una danza con la corda, chi salta più in alto, vince il posto. Esercizio fisico politico.

Rompe la routine dei “divertimenti” uno strano ritrovamento, una massa informe nera che i Lillipuziani temono come un’epidemia. Trattasi del cappello malandato di Gulliver scampato anch’esso al naufragio. Viene siglato un accordo con l’imperatore di Lilliput che ha un nome facile da ricordare: GOLBASTO MOMAREN EVLAME GURDILO SHEFIN MULLY ULLY GUE. L’uomo montagna si impegna a non lasciare la sua abitazione se non previo consenso del Grande Capo e a difendere qualora venga richiesto il regno lillipuziano, vitto e alloggio incluso. Il cibo fornito segue una strana proporzione calcolata secondo la matematica dei lillipuziani, occhio e croce, porzioni corrispondenti a 1728 pasti lillipuziani. Gulliver è perplesso, ma una volta ottenuta la sua libertà, chiede di poter visitare la capitale del regno, Mildendo.

Una città minuscola si intende, modesta nelle sue dimensioni, che Gulliver rischia di radere al suolo con il bordo del suo mantello. Il centro viene caldamente evitato ma riesce a vedere da una finestra il viso stupito dell’imperatrice. Prima di andare a fare visita al palazzo del capo, si mette a costruirsi due sgabelli per potersi sedere, tre giorni perso nel bosco a tagliare legna.

Una volta tornato al palazzo il capo gli fa sapere che temono un’invasione da un altro regno, gli abitanti di Blefuscu – non sono dei vampiri della Transilvania ma leggo in nota un riferimento alla Francia. Lotte intestine per la rottura delle uova – per non dire altro – in realtà una metafora di Swift sulle guerre religiose tra Inghilterra (Lilliput) e Francia (Blefuscu). Gulliver non vorrebbe essere messo in mezzo, ma offre il suo sostegno se e qualora verrà richiesto.

Il pericolo è dietro l’angolo, la tanto temuta invasione sta per iniziare, Gulliver scorge in lontananza una flotta di nemici in marcia. Un’impresa tutto sommato fattibile, lancia degli arpioni in mare e comincia a legare le navi tra loro..Ore contate per i naviganti di Blefuscu che si devono arrendere all’inevitabile sconfitta. Seguono trattati di pace, e Gulliver ormai è quasi diventato consigliere ufficiale dell’imperatore.

Per chi nel frattempo si chiedesse ma gli animali di Lilliput sono piccoli come i lillipuziani? Gulliver informa che sì, e noi facciamo finta di credergli.

Il viaggio continua..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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