Non ricordavo che il libro di Ernest Hemingway si aprisse con una citazione del poeta metafisico John Donne (1573-1651) che riporto qui così la leggete anche voi, nella traduzione antica di Maria Napolitano Martone:
Nessun uomo è un’Isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra. Se una Zolla viene portata dall’onda del Mare, l’Europa ne viene diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una Magione amica, o la tua stessa casa. Ogni morte di uomo mi diminuisce, perché io partecipo dell’umanità. E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana. Essa suona per te.
Il sermone seicentesco di John Donne shakerato insieme all’alter ego di Hemingway, Robert Jordan – curiosamente c’è anche un Robert Jordan scrittore di epic fantasy, la saga di Conan il Barbaro e La Ruota del Tempo, l’immaginazione aiuta – reporter volontario nelle fila dell’esercito repubblicano della Guerra Civile Spagnola – sappiamo fin dall’inizio che non andrà a finire bene in vista di uno scopo salvifico universale.
Questione di scelte.
C’è chi le evita come la peste, pensando di trovare una soluzione nell’ambiguità del non detto, chi se ne frega e coglie l’attimo, cambiando idea a seconda della convenienza – machiavellicamente un po’ volpe un po’ leone – chi procrastina, chi non fa nulla e assiste alla sua vita come a uno spettacolo in cui è tutti e nessuno, chi si espone, in ogni caso, ognuno insegue le sue ragioni.
A forza di mazzate le vittorie di Pirro le lasci a qualcun altro, anche i grigi hanno un loro perché.
Passeggiando nel giardino di Peggy Guggenheim a Venezia, pieno di opere d’arte, mi siedo su una panchina dell’artista concettuale Jenny Holzer che profeticamente dice: “assapora la gentilezza, perché la crudeltà è sempre possibile dopo”.
Anche le pietre parlano.