La lunga attesa dell’Angelo

Per chi non l’avesse ancora letto, si tratta della storia di Jacopo Robusti, Tintoretto, in forma di romanzo di Melania G. Mazzucco. Pubblicato per la prima volta nel 2008, a gennaio 2019 è ormai giunto alla sua diciannovesima edizione.

Si parte dagli ultimi giorni del pittore veneziano per ripercorrere a ritroso in un flusso di coscienza febbricitante la vita oltre le tele. Era da tanto tempo che non leggevo un libro così ben scritto e strutturato.

Ho capito molte cose, anche l’importanza del figlio Domenico, liquidato nei libri di storia dell’arte in poche righe come un pittore minore che non è riuscito ad eguagliare la grandezza del padre, che invece fin da piccolo ha saputo mettersi al servizio del Talento, con una lealtà e generosità d’animo rare, un pittore che in realtà da piccolo sognava di diventare un poeta.

La tanto discussa relazione con la figlia Marietta, nata da un’unione con una donna straniera, conosciuta prima del matrimonio, permette all’ombra di Tintoretto di esprimersi senza riserve. Marietta diventa il suo chiaroscuro.

La moglie Faustina, sposata giovanissima, la compagna di una vita piena di contrasti, nella sua ingenuità disarmante lo ama incondizionatamente.

La mia famiglia prosperava. Potevo esserne certo, poiché era Faustina ad occuparsi di tutti noi. Era lei la nostra forza, lei il cemento che ci teneva uniti insieme. La convivenza di tanti caratteri contrastanti sotto lo stesso tetto generava tensioni e frizioni e un esplosivo scontento, ma Faustina appianava le une e consolava l’altro. (1)

Si ritrova un resoconto terribile di cosa sia potuto essere la peste a Venezia, pagina dopo pagina, tutto sarà più chiaro, ogni scorcio, ogni quadro, i dissapori con il figlio ribelle Marco che si rifiuta di seguirlo, facendo di fatto quello che lui ha fatto con il padre tintore, l’inutile tentativo di fuga della figlia minore che viene ritrovata a Marghera e riportata in convento.

Si coglie la vera essenza di Tintoretto, la sua ricerca spasmodica di affermazione, mettendo in luce le ferite di chi a lungo ha subito il disprezzo. Snobbato da tutti, ostacolato dal grande Tiziano fino alle fine dei suoi giorni.

Tintoretto ha in mente un obiettivo grandioso, dipingere le tele per la Scuola Grande di San Rocco, consapevole dei suoi limiti, della sua cultura da autodidatta, si mette a leggere la Bibbia, ricorrendo all’aiuto del cugino della moglie, Don Vincenzo, a cui chiede di chiarirgli alcuni passi che saranno per lui illuminanti:

Fu lui a dirmi che l’attesa del miracolo – cui spesso, nelle difficoltà, mi abbandonavo – non era il segno della forza della mia fede, ma della sua fragilità. Il miracolo che si realizza è solo un desiderio umano che viene esaudito. Ma non bisogna disprezzare Dio fino al punto di renderlo complice dei nostri sogni e delle nostre ambizioni. Dio è il mondo stesso, è la storia, è il tempo. Dio non ha bisogno di rivelarsi per esistere…Imparai a memoria il Vangelo di Giovanni. (2)

Nella ricostruzione meticolosa dei suoi quadri, avrà sempre a cuore il tema della Salvezza Umana per la Scuola di San Rocco:

Riconoscenza per la sconfinata varietà del mondo, per il provvidenziale significato di ogni dolore.

Una vita di duro lavoro.

Ho regalato i miei quadri a decine di persone che non li apprezzavano, perché un giorno li vedesse uno che invece poteva offrirmi il suo palazzo o l’altare della sua cappella. Quel nano tintore buffone arrogante spaccone gradasso – protestavano gli altri pittori – strapazza il mestiere. Chi si crede di essere?

Nessuno. Nessuno. Eppure un artista ha davvero successo quando lo chiamano per nome. Questa familiarità non è un segno di intimità – ma, al contrario, di rispetto…Io sognavo il giorno in cui la gente avrebbe detto Jacomo – come diceva Raffaello, Michelangelo, Tiziano.

Alla fine ho abbattuto il muro. Ho avuto pazienza, o solo fortuna. O forse la mia fortuna è stata il mio nemico Tiziano. (3)

Di fatto il riconoscimento di Tintoretto avviene con un Miracolo. Il Miracolo dello Schiavo che dipingerà per la Scuola Grande di San Marco grazie al futuro suocero, l’amico Marco Episcopi. Il quadro suscita un tale scalpore che viene rifiutato, un santo a testa in giù come un uccellaccio, mai visto nulla di simile.

Tintoretto, offeso e umiliato, è costretto a riprendersi indietro la sua tela.

E alla fine quel quadro, dopo molte discussioni, argomento principale in ogni salotto, viene richiesto indietro. Ci vorranno trent’anni per giungere a una piena consapevolezza del percorso compiuto.

Alla fine sono diventato il Maestro che sognavo di essere. Solo dipingendo, credevo di vivere.

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(1) La Lunga Attesa dell’Angelo, Melania G. Mazzucco, Rizzoli 2009, p. 312.

(2) Ibidem, p. 59.

(3) Ibidem, p. 59.

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