Tradimenti e tradimenti…

Alla Santa Carta di Credito

La bontà è l’unico investimento che non fallisce mai. 

Henry David Thoreau

Sui tradimenti sono preparata, non mi riferisco ai tradimenti che capitano nella vita, a cui non si è mai preparati, umilianti come schiaffi inaspettati, ma ai tradimenti nel microcosmo delle traduzioni letterarie, dove secondo l’impostazione accademica si insiste spesso sul parallelo tra tradurre e tradire perché in italiano condividono la stessa etimologia e destino, ossia l’impossibilità di ridire con precisione assoluta quanto tradotto dalla lingua di partenza alla lingua d’arrivo o lingua madre – e qui vi risparmio le possibili varianti e seghe mentali sulla madre, la madre terra, et cetera – senza un inevitabile anche se minimo scarto linguistico.

Le traduzioni ti condannano a diventare una traditrice a tua volta, tuo malgrado, proprio tu che odiavi i tradimenti, come ricorda la querelle letteraria settecentesca tra belle infedeli e brutte fedeli. Secondo la classificazione antica, le traduzioni belle sono quasi sempre infedeli perché si allontanano dal testo originale, quelle brutte nel tentativo di aderire fedelmente al testo si piegano a una logica letterale, ma la lingua suona a tratti come una forzatura, ha un ritmo stentato. A mio avviso non necessariamente, i miracoli accadono più spesso di quanto si creda, si riesce a essere belle e fedeli.

Ad ogni modo si finisce quasi sempre per sentirsi in colpa ogni volta che “si tradisce”, quando si omette o si perde qualcosa nella lingua di arrivo, e allora si passano notti insonni per rendere giustizia a una frase che ha bisogno di un nuovo mondo da abitare. E se certi giochi di parole diventano intraducibili, sei costretta a scrivere una nota, in cui devi ammettere pubblicamente il tuo fallimento, gettare la spugna, avvertire il lettore che qualcosa nel testo in italiano è andato perso, ma che si può recuperare nell’originale che citi tra virgolette. Ancora una volta un codice etico che raramente si incontra nelle comuni interazioni umane. Nella traduzione dall’inglese le cose si complicano, perché ci sono parole che in italiano diventano perifrasi, una lingua che ha una ricchezza di significati racchiusi in un unico vocabolo che si apre come un ventaglio, mentre l’italiano implica una maggiore dispersione di sensi e significati, i mondi li dobbiamo ricreare, quasi il percorso contrario, procedere per faticose sottrazioni, proprio come uno scultore con una massa informe.

Per deontologia professionale è tuo dovere ambire a una perfezione ideale che non esiste, devi sempre e comunque fare del tuo meglio. Gli errori non sono facilmente perdonati, anzi diventano materiale di studio per eventuali convegni letterari in cui si elencano in dettaglio quali sono stati i casi in cui si sono presi “fischi per fiaschi”, non sono ammessi cialtroni.

Un capitolo a parte meriterebbero i famosi corsi di traduzione per aspiranti traduttori, in genere simili a quelli di scrittura creativa, da valutare con attenzione, dove si segnala che i più meritevoli riceveranno il “premio” di venire pubblicati. All’inizio di una carriera che pensi sarà promettente, proprio perché hai dovuto passare selezioni durissime, cadi nella trappola dello sfruttamento seriale, circondata da una folla di secchione ambiziosissime pronte a immolarsi alla causa. Hai l’onore di tradurre un autore noto e ti tiri indietro? Noooooo, non sia mai…Quando poi continuano a proporti lavori gratis facendoteli passare anche come un favore, perché ti hanno “scelto” fra tanti, capisci che è meglio cambiare aria.

Se arrivi alla agognata meta del pagamento, se non ti sei scoraggiata prima, te la sei veramente sudata, potresti inciampare su una redattrice ottusa e stronza – e qui torna in mente un libro fondamentale di Luciano Bianciardi, Vita Agra, titolo che riassume in due parole il destino che ogni traduttore deve affrontare – una sadica che gode a rovinarti il lavoro, anche sei lei è convinta di migliorarlo ma fondamentalmente è addestrata a individuare errori, non ammette variazioni, con la stessa rigidità di un programma da computer, ti è antipatica da subito. Prima o poi con la stronza litighi, le sue frecciatine indirette a lungo andare stancano, quando non ne puoi più, dai inizio alla “guerra alla stronza”, ti attacchi a un “giacché” di troppo e per quel “giacché” sei pronta a fare una crociata, sapendo benissimo che stai sprecando tempo e energie, finché a un certo punto, la redattrice ottusa fa una mossa imprevista, finge di cedere dopo trattative interminabili, e per un attimo pensi di avercela fatta, quasi una vittoria di Pirro, o da pirla per chi preferisce, ma in fase di stampa hai la sorpresa finale, hanno ascoltato lei, non te, e il “giacché” te lo ritrovi al solito posto, esattamente dove non volevi. La disillusione è quindi d’obbligo, come quando dopo aver lavorato a lungo su un testo, ti storpiano il cognome, un altro classico, giusto per non farti mancare nulla.

Con la scrittura l’esperienza della traduzione torna utile. Dopo tutto, sottolinea saggiamente lo scrittore e traduttore Eliot Weinberger, la traduzione è movimento, gemella della metafora, significa spostarsi da un luogo a un altro. Il viaggio allora non può che continuare…

4 pensieri su “Tradimenti e tradimenti…

  1. Certo la traduzione migliore basce dal compromesso. Non potrà mai essere impersonale ne pedante, rovinerebbe l’idea originale dell’autore. Ci vuole la capacità di mantenersi su quell’orlo sottile della ragionevolezza. Un po’ di anni fa, lessi ‘lo straniero’ di Camus in francese ed aveva una musicalità nello scorrere della lettura che non ho più trovato nella version tradotta. Ma sarebbe stato inconcepibile ripristinare quella cadenza sonora in una lingua diversa dall’origine. Ciononostante peró avendo letto l’originale, la traduzione, per quanto bella, risultava molto più schenatica e fredda! Ma credo che oltre non si sarebbe potuto andare.

    1. Libro straordinario tra l’altro…un uomo che è straniero anche per se stesso…anch’io l’ho letto in francese…il ritmo invece è uno dei compiti principali per una buona traduzione, infatti per chi traduce è obbligatorio sempre rileggere quanto scritto a voce alta, lì ci si rende conto immediatamente se si è fatto un buon lavoro o no, si eliminano eventuali assonanze, ripetizioni che stonano, sequenze di consonanti troppo sibilanti…indubbiamente un mestiere difficile…

  2. Che post interessante!
    …e scritto magistralmente, come il tuo solito.

    E’ come accade quando si fa la traduzione dal sardo all’italiano…senza andare molto lontano. Ci sono parole che in sardo contengono un “mondo” che è intraducibile.
    Per questo a volte si trovano traduzioni diverse della stessa poesia, per dire….

    Per quanto riguarda poi l’impegno profuso “aggratis et amore deu”…be’ quello mi sembra un vizio diffuso. Altro tipo di tradimento…

    buona giornata
    .marta

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