Da secoli tentano di convincerci che la terra sia una valle di lacrime.
Ma io mi ribello a tutto questo, e credo che l’erotismo, come la rivolta,
sia tra i mezzi eccellenti, adatti a condurci a questa smisurata gioia.
Paul Wühr
San Giacomo dell’Orio ha un’aria esotica, godereccia con tutti i ristoranti che ci sono intorno alla zona, con degli alberi però un po’ spettrali, sempre più curvati, persino le case che si affacciano sul campo sono insolite, dipinte di rosso veneziano ormai stinto, anche se tutt’altro che scolorita è la storia di Lorenzo Lotto, il pittore della pala all’interno della Chiesa, una delle più antiche di Venezia, pianta a croce latina, disposta a lato del campo, argomento preferito dai teorici dell’architettura che potrebbero parlarti per ore della ricostruzione con preziosi frammenti bizantini portati indietro dalla Quarta Crociata, ma soprattutto della colonna in marmo verde con capitello ionico elogiata da John Ruskin…
Io invece dedico volentieri qualche riga al grande Lotto, che ha avuto vita durissima, spesso criticato per non essere mai a passo con i tempi, messo in ombra dai suoi contemporanei, prima Bellini, poi Tiziano, girò l’Italia, spostandosi tra Bergamo, le Marche Roma e il Veneto, alla ricerca di committenze fortunate, e dopo vent’anni di peregrinazioni tornò a Venezia per un breve periodo, ospite non molto gradito di un nipote avvocato che ricambiava con dei “quadreti” perché non era riuscito mai a guadagnare abbastanza denaro come pittore.
Quando poi scopro che all’epoca della realizzazione della pala si era pure ammalato, guardo la composizione con occhi diversi. Costretto a chiedere ospitalità questa volta al fedele amico Bartolomeo Carpan che gli aveva trovato un alloggio a San Stae, aveva cambiato il testamento, decidendo di lasciare i suoi oggetti e le sue tele a due giovani pittori della scuola che potessero farne buon uso.
Mi soffermo a osservare i santi ai piedi della Madonna, oltre a San Giacomo e Sant’Andrea, ci sono proprio i due Santi medici, Cosma e Damiano, la Madonna malinconica, arrotondata in una veste rossa accesa, ha delle mani lunghissime, il bambino, un’espressione da adulto imbronciato, la coroncina tenuta sospesa sulla testa dagli angeli, e la bisaccia del pellegrino con una piccola conchiglia ai piedi di San Giacomo sono di una bellezza delicata.
Viene banalmente presentato come un genio irrequieto, mi chiedo chi non lo sarebbe stato al posto suo? Tra i suoi ultimi debiti saldati, sei ducati per comprare lacca di grana.
Solita vecchia storia: destini complicati per chi è chiamato a nuove visioni.
Nel campo invece la vita continua come sempre, bambini che corrono come dei forsennati, e madri che urlano come aquile, volutamente ignorate. Attrae l’attenzione un articolo che si sta leggendo di gusto il mio vicino di panchina, “Usura con la cassa peota”, veneziana incriminata per tassi capestro a giocatrici disperate alle slot machine, casi in cui la rivincita non arriva mai. Mi allontano verso il ponte di ferro che porta a Ca’ Tron, il menù alla trattoria all’angolo promette bene: sformato di patate, agnello alle erbe, torta di pere allo zenzero. A questo punto la pausa è necessaria, la visita all’Ouranosaurus nigeriensis lungo 7 metri e alto più di 3,6 al Museo di Storia Naturale è rimandata a data da destinarsi.
