Questo è un articolo che avevo scritto nel 2007 per un concorso letterario sulla cultura popolare, in ricordo della mia bisnonna Cira. Rispetto ad allora Ashley Highfield non è più direttore della BBC New Media Technology, Nino d’Angelo avrà sicuramente inciso qualche altro disco, l’orso Knut è morto. E dulcis in fundo, il concorso non è stato vinto da nessuno, un caso rarissimo, ma in Italia succede anche questo…
RIFLESSIONI
- cultura popolare
- il neomelodico
- la sceneggiata: dalle lacrime napulitane a nu jeans e na maglietta
- nuove configurazioni
- connessioni
- bibliografia
CULTURA POPOLARE
Il termine popolare racchiude un nugolo di definizioni anonime che rimandano al “popolo” come se fosse un tutto indifferenziato. Essere popolare implica essere apprezzato da molti, ottenere il favore del popolo, della gente. La locuzione vox populi, vox Dei traduce la convinzione che un’opinione condivisa da molti abbia un qualche fondamento di verità. Generalmente per cultura popolare s’intendono gli usi e costumi regionali, il folklore. Secondo Henry Jenkins [1], direttore del Comparative Media Program del MIT, bisogna fare una distinzione tra cultura di massa (mass culture) e cultura popolare (popular culture). La cultura di massa descrive la modalità di trasmissione, i mass media appunto, ma non coinvolge necessariamente le grandi masse, può anche rappresentare un genere o un pubblico specifico. La cultura popolare invece è prodotta da chi la consuma e utilizza nella vita di tutti i giorni. Nel Regno Unito, il programma Stars In Their Eyes è un tipico esempio di cultura pop(ular), una gara canora in cui i concorrenti si sfidano interpretando famosi personaggi dello showbiz internazionale.[2]
In Italia il tanto vituperato target nazional-popolare è oggi diventato una categoria obsoleta, non solo per l’offerta concorrenziale dei vari canali, satellitari e non ma anche per la diffusione della tecnologia digitale e la presenza di un pubblico più selettivo. Sono finiti i tempi del Varietà del sabato sera, nostalgicamente riproposto in spezzoni antologici. Oggi questo tipo di spettacolo è sempre più improponibile, vive fuori dal tempo come un reperto fossile che testimonia un gusto rétro ma che non è più in grado di rappresentarci:
“La tv del futuro sarà più simile ad un caleidoscopio, con migliaia di flussi di contenuto, alcuni non più distinguibili come canali. Questi flussi mescoleranno i programmi e i contenuti della rete ai contributi dei nostri spettatori… A livello più semplice il pubblico vuole organizzare e rielaborare i contenuti a proprio piacimento.”[3]
I tg televisivi sono diventati dei tristi elenchi di cronaca nera addolciti da qualche gossip in cui impera il dettaglio aneddotico: un gatto che fa surf o il mitico orso Knut di cui conosciamo tutte le traversie (pare che sarà il soggetto di un film hollywoodiano).
Il dibattito sulla cultura popolare sembra quasi sempre oscillare tra due polarità divergenti che tentano di circoscrivere il raggio d’azione: di tutti o di pochi, di molti o di un’élite intellettuale?
Secondo Jenkins all’interno del gruppo esistono delle distinzioni stilistiche e qualitative che possono comprendere un pubblico eterogeneo che ama prodotti diversi quali: la soap opera, il reality show, la fiction, i film di fantascienza, i vari generi musicali, etc. La frammentazione del pubblico sottolinea proprio una maggiore diversificazione di gusti. Ormai dobbiamo essere consapevoli che è proprio il pubblico, l’utente a creare e diffondere una cultura “convergente”:
“La convergenza non avviene tra le attrezzature dei media – per quanto sofisticate possano essere – ma nei cervelli dei singoli consumatori nonché nelle loro reciproche interazioni sociali. Ognuno di noi si crea una sua personale mitologia delle unità dei frammenti d’informazione estratti dal flusso mediatico e trasformati in risorse da cui trovare il senso della propria vita quotidiana…Il consumo si trasforma in processo collettivo, in ciò che Pierre Lévy chiama “intelligenza collettiva”.[4]
Interessante è notare come gli elementi popolari che definiscono la nostra italianità (i piatti regionali, i balli tradizionali, le canzoni, la sceneggiata, etc..) vengano inglobati all’interno delle nuove tecnologie, mantenendo una specificità locale. Non assistiamo più ad uno scarto tra tradizione folcloristica e innovazione mediatica ma ad un’interazione partecipativa:
“Il modello ‘un emittente, molti ricevitori’ che ha dominato la cultura della stampa e quella dei mass media moderni sta lasciando il passo a un modello da ‘molti a molti’, in cui ogni partecipante può far circolare il suo lavoro in una comunità più ampia. La capacità di ‘fare rete’ è diventata un’abilità sociale e professionale.”[5]
IL NEOMELODICO
Il neomelodico è l’esempio di come un fenomeno popolare, sviluppatosi a Napoli e dintorni, grazie a una nuova schiera di giovani interpreti si è servito della rete per aumentare il seguito dei suoi fan. Il veicolo principale sono le radio e le tv locali (Tele A, Teleregione, Tele Akery, Videoteam, Tele Azzurra, Tele Ercolano). Il fatto poi che sia possibile acquistare i cd online, implica necessariamente la presenza di un pubblico tecnologicamente alfabettizzato che desidera quel tipo di prodotto. I cantanti neomelodici si possono contattare attraverso numeri a pagamento (un euro e mezzo al minuto) e prenotare per concerti, feste e matrimoni.
Questo tipo di musica nasce all’inizio degli anni ’70, diventando espressione del sottoproletariato urbano napoletano. Un acceso sentimentalismo combinato a un classico repertorio melodico che fa leva sul vincolo d’appartenenza (in primis la retorica del valore sacro della famiglia) è uno dei tratti stilistici predominanti dei testi.[6] Si tratta di canzoni che parlano il linguaggio del quartiere, raccontano storie di vita in cui sia facile identificarsi, in cui spesso l’illegalità si confonde con il vivere quotidiano. Rispetto alla sceneggiata non c’è più il tentativo di giustificare determinati stili di vita al limite del lecito (rievocati nel canto accorato di “son nato carcerato”) ma la descrizione di un mondo in cui fare lo spacciatore o il killer è ormai una necessità ineluttabile, un modo come un altro per sbarcare il lunario.
Secondo lo studioso Isaia Sales [7] i neomelodici forniscono un sostegno culturale al modo di essere di una determinata minoranza sociale o gruppo. Spesso è possibile riscontrare legami di parentela con alcuni clan della camorra:
“Per incidere dischi e farsi pubblicità servono soldi. Non pochi aspiranti, quindi, pur di emergere si affidano al clan. Legami che poi vanno al di là degli interessi economici, visto che tra gli autori di tanti testi spiccano i nomi di noti boss.”[8]
Va inoltre sottolineato che il termine “camorra” non si riferisce ad un’unica organizzazione criminale che opera nel territorio napoletano ma contempla un insieme di bande e clan accomunati da azioni delinquenziali. Per questo motivo sarebbe più corretto parlare di “camorre”, proprio per indicare la frammentazione dei confini dell’illegalità. Dell’argomento se n’è occupato anche il sociologo Marcello Ravveduto, che ha accusato i neomelodici di essere “i paladini di una cultura che degenera in ‘napolitaneria’, mentre Merola e la sceneggiata sono l’ultimo esempio di teatro popolare della napolitanità”.[9]
DALLE LACRIME NAPULETANE A NU JEANS E NA MAGLIETTA
La sceneggiata napoletana, genere teatrale musicale popolare, nasce intorno al primo dopoguerra, quando lo stato italiano applica la censura e vessa con pesanti sanzioni gli spettacoli di varietà. Inizialmente nel nord Italia il termine viene erroneamente inteso come ‘sceneggiatura di un film’ mentre in realtà s’intende una canzone da recitare, la sceneggiatura dei versi di una canzone. La prima opera sceneggiata viene allestita dalla compagnia G. D’Alessio (nessuna parentela con il popolarissimo Gigi D’Alessio) che mette in scena Pupatella, opera tratta dalla canzone di Libero Bovio.
La classica sceneggiata napoletana unisce in un’unica rappresentazione monologhi, canto, musica, ballo e recitazione. I temi ricorrenti sono: l’amore, la passione, la gelosia, l’onore, il tradimento, l’adulterio, la mamma in fin di vita, i giovani disgraziati e disoccupati, la vendetta, la lotta tra chi è buono e chi è cattivo. Prevede sempre una trama sentimentale che di solito ha come sfondo il tradimento, l’azione si svolge nei quartieri popolari di Napoli, in ambienti malavitosi. Il teatro della sceneggiata è un “teatro d’onore” che si rifà alle regole del “vicolo”.
Il vicolo diviene il teatro di una promiscuità sociale, che testimonia una convivenza forzata pluri-familiare. Significativamente i quartieri popolari nel centro di Napoli non sono mai stati oggetto di modificazioni urbanistiche o di opere di sventramento. L’accatastamento ravvicinato delle abitazioni ha consentito lo sviluppo di un tessuto urbano in cui lo spazio angusto dell’interno domestico ha inglobato il vicolo creando un più ampio spazio sociale, dando vita ad una specie di società “aperta”. Ecco che allora la strada diventa scenario della vita di tutti i giorni, e la comunità rispecchia una domesticità condivisa.
Nella rappresentazione la trama si snoda attorno alla triade isso (lui) – issa (lei) – ‘o malamente (il malavitoso) accompagnata da altre tre figure importanti: ‘a mamma (la seconda donna), ‘o nennillo (il bambino nato dalla coppia protagonista), ‘o comico/‘a comica.
La donna, quando non riveste il ruolo di madre, spesso è destinata ad impersonare la fedifraga che deve essere uccisa e punita perché ha tradito il valore sacro della famiglia:
“La mamma è l’archetipo stesso della società, colei che dà la vita e non tradisce, colei che ha il doppio ruolo di distribuire e dispensare le risorse familiari e di dispensare amore, quindi riproduzione fisica e spirituale. È la “padrona del pianto”, è insieme Erinni greche e Madonna cattolica: non è un caso che la si canti spesso piangente, avvolta in uno scialle nero, proprio come Maria in lacrime ai piedi della Croce nelle tradizionali iconografie. Ma è anche il costante punto di riferimento della società intera e, soprattutto, dell’uomo nel suo percorso verso la reale costruzione del proprio ruolo virile all’interno della comunità.”[10]
Il pubblico ha un ruolo fondamentale nello svolgimento della rappresentazione teatrale, al punto che spesso interviene in scena se il finale della storia non lo soddisfa.[11]
La sceneggiata diventa allora anche una forma d’insegnamento per gli spettatori, che si riconoscono nelle regole di un comune “codice d’onore”. In questo contesto anche la figura d’ ‘O Malamente riveste una funzione precisa, rappresenta il malum exemplum, il pericolo che minaccia l’armonia del convivere in comunità e la virilità dell’eroe positivo.[12]
Nel secondo dopoguerra la sceneggiata cade in oblio ma viene riportata in auge intorno agli anni ’70 e ’80 dall’interpretazione cinematografica di Mario Merola, “o rre da sceneggiata” e di Pino Mauro.
Merola esordisce in teatro con il suo pezzo forte “Malu figlio”, che dopo essere diventato un successo discografico viene adattato ai canoni della sceneggiata. Da allora l’artista è riconosciuto universalmente come portavoce internazionale della sceneggiata nel mondo, in Europa, America e Giappone. Oltre al tema principale dell’emigrazione e della povertà, Merola è noto per l’interpretazione del ruolo del guappo buono, il cosiddetto Mammasantissima, colui che protegge i deboli dalle ingiustizie. Tra i suoi film più noti ricordiamo Sgarro alla camorra (1973), O’ Zappatore (1980), Lacrime napulitane (1981), Guapparia (1984).
A differenza di Merola, Pino Mauro si distingue per una maggiore aderenza ideologica al ruolo del camorrista, “il delinquente non è più un uomo onesto che ha sbagliato e può riparare, ma un criminale orgoglioso di esserlo, che non può e non vuole tornare indietro.”[13]
Sales sottolinea il fatto che l’ideologia camorristica ha avuto come specchio “l’ideologia della tolleranza” secondo cui “la normalità della violenza e la normalità dell’illegalità fanno da contraltare alla normalità della giustificazione sociale.”[14]
Gaetano D’Angelo,[15] in arte Nino, è un altro grande rappresentante del genere neomelodico, è l’eroe positivo. La sua è una storia di riscatto sociale da una vita di povertà senza speranza. Nel suo sito web racconta che deve i suoi esordi canori a Padre Raffaello, un frate cappuccino della parrocchia di San Benedetto a Casoria. Riesce a sfondare nel mondo discografico nel 1976 con una colletta fatta in famiglia, che gli permette di incidere il primo disco a 45 giri: “A storia mia” (‘O scippo). Il disco ottiene un successo così grande e inaspettato che in pochissimo tempo lo trasforma in attore protagonista di sceneggiate (L’onorevole, ‘E figli d’a carità, ‘A parturente).
Nel 1981 il successo de “Nu jeans e na maglietta” (vende oltre un milione di copie), lo consolida icona del neomelodico non solo per le doti canore ma anche per aver creato la moda del caschetto d’oro, look che sarà imitato da gran parte dei ragazzi dei quartieri popolari. Il film dal titolo omonimo supera al botteghino Flashdance, il successo internazionale anni ’80. La canzone “Napoli, Napoli” tratta dal film Quel ragazzo della curva B (1986) è diventata l’inno dei tifosi di calcio del Napoli, dai tempi d’oro di Maradona.
Intorno agli anni ’90 inizia una nuova fase nella sua ricerca artistica. Si taglia i capelli liberandosi definitivamente dell’immagine dell’eterno ragazzino e comincia una fase più intimistica, in cui non ha paura di mettere a nudo le sue emozioni più profonde per sperimentare musicalità diverse. Tiempo ottiene le lodi del critico musicale Goffredo Fofi. Nel 1999 pubblica la sua autobiografia L’ignorante intelligente, nel 2000 partecipa al Festival di Sanremo con la canzone “Senza giacca e cravatta”, classificandosi all’ottavo posto. Dello stesso anno è la produzione di Aitanic, versione napoletana del film di James Cameron. Ripartecipa a Sanremo nel 2002 con “Marì” e nel 2003 con “ ‘A storia ‘e nisciuno”. Nel 2005 pubblica il singolo “Brava Gente”, nel 2007 esce il suo nuovo cd Gioia Nuova.
NUOVE CONFIGURAZIONI
Facendo una ricerca in rete si possono rintracciare centinaia di cd, suonerie, compilation neomelodiche. Fra queste merita una menzione speciale la doppia compilation Canzoni ‘e mala, con titoli come Vite perdute, Cumpagno ‘e cella, Tutta na vita, ‘A legge a chist’a ‘n coppa, Carcere, etc. Tra le nuove proposte primeggia il Piccolo Antony, che ha un forum a lui dedicato e che pubblicizza le sue hits su YouTube con i video “Bambola” e “Mammà”. Esiste inoltre un’etichetta indipendente, la Zeus Records [16], che si occupa solamente di musica neomelodica, con artisti dell’ordine di Gianluca Capozzi, Gigi Finizio, Mimmo Dani.
All’interno di questo filone si è anche sviluppato un sottogenere comico, più ludico e canzonatorio, promosso dal cantante Gigione, noto per i versi “ti piace, ti piace, ti piace il gelatino…poi la fragolina la devi dare a me!”. Il duo La risata ha inciso il pezzo forte “ ‘E guagliune ‘e stu rione”.[17] Il linguaggio è volutamente sgrammaticato per imitare le inflessioni del gergo.
Luigi Giuliano, detto il Lovigino [18] (soprannome formato dalla contrazione di love e Luigi) è un noto compositore di canzoni d’amore, nonché autore di una raccolta di poesie, intitolata “Ciliegie del dolore”.
CONNESSIONI
Di questo fenomeno popolare se n’è occupata anche la Commissione parlamentare antimafia. Nel dicembre 2006 Giuliano Amato, che era allora ministro dell’Interno, accusa i neomelodici di essere i portavoce di un codice camorristico:
“Il piano contro la camorra avrà successo solo se faremo vedere che ‘a nuttata’ non passa per i camorristi…Ci sono anche i neomelodici tra le espressioni della pervasività della cultura camorrista. Una cultura che cerca comunque di fare del camorrista un eroe e del carcerato un personaggio positivo mentre chi lo denuncia è un infame.” [19]
L’affermazione scatena un’accesa polemica tra i fautori del genere. Il pezzo di Tommy Riccio “Nu latitante” viene definito “un peana d’O Sistema”, per i versi “ ‘Nu latitante nun tene cchiù niente, luntano d’ ‘o bene, annascuso d’ ‘a gente, e l’urdemo amico addaventa importante, pe’ fa nu regalo a chi aspetta papà…”(un latitante non ha più niente, lontano dal bene, nascosto dalla gente, e l’ultimo amico diventa importante per fare un regalo per chi aspetta papà).
Ciro Rigione [20] si difende dall’accusa: “Noi facciamo arte, non difendiamo la cultura camorrista”. A proposito del talento musicale del boss pentito, il cantante dice infatti: “allora mi creò qualche imbarazzo che l’autore del testo si chiamasse Giuliano, ma quell’uomo che voleva cambiare strada, come poi ha dimostrato, dovevo giudicarlo io?”[21]
Giuliano Amato ha affrontato il tema, scrivendo la prefazione al saggio di Marcello Ravveduto Napoli…serenata calibro 9 [22], dove s’indaga il rapporto tra camorre locali e il fenomeno canoro popolare.
A difesa del neomelodico sono intervenuti moltissimi artisti. Raiz, l’ex cantante degli Almamegretta ha stroncato l’intervento del ministro: “Amato di Napoli non capisce niente.”[23]
Siamo di fronte ad una realtà ben più complessa in cui non è possibile fare delle generalizzazioni, né ricorrere all’equazione riduttiva musica neomelodica=camorra. Quello che semmai Sales sottolinea è che in Italia non esiste altro fenomeno paralegale pubblico che inneggi all’illegalità del codice delle camorre, con canzoni che affrontano il tema del carcere, della latitanza, della condizione del pentito, che però fanno parte di una cultura collettiva popolare che le compra e le ascolta.
Il giornalista Antonio Fiore sposta il dibattito sulle responsabilità politiche di uno stato assente, che non si occupa di fornire delle soluzioni adeguate e non interviene sul territorio:
“… Certo, come scrive Amato nella chiusa della sua prefazione quando la camorra non apparterrà più alla storia collettiva di Napoli i cantanti neomelodici continueranno a cantare, i parolieri continueranno a scrivere, ma le vicende avranno come protagonisti i tanti che ogni giorno affrontano mille difficoltà per vivere onestamente. Ma (a parte una lettura un po’ semplicistica del rapporto tra struttura e sovrastruttura con cui Amato risolve una questione complicata come quella dell’egemonia) resta quell’indeterminatezza di quel quando la camorra non apparterrà più alla storia collettiva di Napoli…. Già: quando? E come? Un prefatore non ha il dovere di ipotizzare risposte. Un ministro dell’Interno, sì.”[24]
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
- A. Abruzzese, V. Susca, Immaginari postdemocratici. Nuovi media, cybercultura e forme di potere, Franco Angeli, Milano, 2006;
- H. Jenkins, La cultura convergente, Apogeo, Milano, 2007;
- P. Lévy, L’intelligenza collettiva, Feltrinelli UE, Milano, 2002;
- M. McLuhan: La galassia Gutenberg, Armando, Roma, 1976; La cultura come business, Armando, Roma, 1998; Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore, Milano, 2002;
- E. Morin, Lo spirtito del tempo, Meltemi, Roma, 2003;
BIBLIOGRAFIA:
- M. Jouakim, ‘O malommo, Tullio Pironti, Napoli, 1979;
- G. Marrazzo, Il camorrista, Tullio Pironti, Napoli, 2005;
- M. Merola, G. Nocchetti, Napoli solo andata…il mio lungo viaggio, Sperling e Kupfer, Milano, 2005;
- M. Morandini, Il Morandini 2007, Dizionario dei film, Zanichelli, 2006;
- M. Niola, Totem e Ragù, Tullio Pironti, Napoli, 2003;
- M. Puzo, Mamma Lucia, Dall’Oglio, Milano, 1971;
- M. Ravveduto, Napoli…serenata calibro 9, Liguori Editore, Napoli, 2007;
- I. Sales, Le strade della violenza, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2006;
- M. Serao, Il ventre di Napoli, Treves, Milano, 1884;
- P. Scialò, La sceneggiata, Guida, Napoli, 2003;
- R. Viviani, Teatro, Poesia e Musica, Cluen, Napoli, 2003;
FILMOGRAFIA:
M. Merola,
- Sgarro alla camorra (1973)
- Napoli…serenata calibro 9 (1978)
- Il mammasantissima (1979)
- Napoli…La camorra sfida la città risponde (1979)
- I contrabbandieri di Santa Lucia (1979)
- ‘O Zappatore (1980)
- La tua vita per mio figlio (1980)
- Napoli Palermo New York Il triangolo della camorra (1981)
- Lacrime Napulitane (1981)
- L’artista (1982)
- Giuramento (1982)
- Tradimento (1983)
- Guapparia (1984)
- Torna (1984)
- Un posto al sole 3 (1998)
- Cient’anni (1999)
- Sud Side stori (2000)
N. D’ Angelo,
- Celebrità (1981)
- Tradimento (1982)
- Giuramento (1982)
- L’Ave Maria (1982)
- Lo studente (1983)
- Un jeans e una maglietta (1983)
- La discoteca (1983)
- L’ammiratrice (1983)
- Uno scugnizzo a New York (1984)
- Popcorn e patatine (1985)
- Giuro che ti amo (1986)
- Fotoromanzo (1986)
- Quel ragazzo della curva B (1987)
- La ragazza del metrò (1989)
- Fatalità (1992)
- Attenti a noi due (1994)
- Tano da morire (1997)
- Paparazzi (1998)
- Ama il tuo nemico (1999)
- Tifosi (1999)
- Vacanze di Natale 2000 (1999)
- Aitanic (2000)
- Il cuore altrove (2003)
- 4-4-2 Il gioco più bello del mondo (2006)
- Una notte (2007)
[1] Henry Jenkins, La cultura convergente, Apogeo, Milano 2007.
[2] Prodotto da Granada per ITV, in onda dagli anni ’90. Citato anche nella canzone In Their Eyes del dj e cantante inglese Just Jack, 2007.
[3] Ashley Highfield, direttore della BBC New Media Technology parla della diffusione della banda larga in “TV’s tipping point: Why the digital revolution is only just beginning”, (http://paidcontent.org/stories/ashleyrts.shtml) citato in Henry Jenkins, Ibidem.
[4] Henry Jenkins, op. cit, p.XXVI.
[5] Ibidem, p.322.
[6] Sui nuovi cantanti neomelodici, si veda il sito www.mondomusicale.net
[7] Isaia Sales, Le strade della violenza, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2006.
[8] Ibidem, p.276.
[9] Marcello Ravveduto, Napoli…serenata calibro 9, Storia e immagini della camorra tra cinema, sceneggiata e neomelodici, Liguori Editore, Napoli 2007.
[10] Lezione del Prof. Marino Niola tenuta a Palazzo Serra di Cassano a Napoli nella sede dell’istituto italiano per gli studi filosofici il 5 Aprile 2005. Dello stesso autore, si veda anche Totem e Ragù, Napoli, Tullio Pironti 2003.
[11] Sulla storia della sceneggiata si veda Raffaele Viviani, Teatro, Poesia e Musica, Cluen, Napoli 2003.
[12] Il termine camorrista prende il nome dal gioco della morra, il camorrista era colui che gestiva le scommesse. È l’unica forma di criminalità organizzata che con il nome descrive l’attività che svolge: l’estorsione.
[13] Isaia Sales, op. cit., p.273.
[14] Ibidem, p.175.
[15] Si veda il suo sito www.ninodangelo.com
[17] Per una discografia completa si rimanda al sito http://www.alternapoli.it
[18] Citato anche da Roberto Saviano nel suo libro Gomorra, Mondadori, Milano 2007.
[19] L’articolo di Paolo Casicci “Amato e la malamusica: in quei dischi sento il boss” è stato pubblicato ne il Venerdì di Repubblica del 5 Ottobre 2007.
[20] Il cantante ha venduto 500mila copie della canzone “chillo va pazzo ‘e te”, scritta proprio da Lovigino.
[21] L’articolo è stato pubblicato da Repubblica il 14/12/2006.
[22] op. cit.
[23] Tratto da Il Venerdì di Repubblica, Ibidem.
[24] Si veda Il Corriere del Mezzogiorno, 12 ottobre 2007.
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