Trick or treat?

Macbeth and Banquo with the Witches by Henry F...

Macbeth e Banco con le Streghe di Henry Fuseli

Ormai la frase scherzetto o dolcetto? è sbarcata anche in Italia, anche se Halloween in versione mediterranea è un bell’ossimoro. È una festa che inevitabilmente mi ricorda l’Inghilterra, soprattutto i bambini che ti suonano il campanello vestiti da fantasmi che non fanno per niente paura per avere qualche biscotto. Gli scherzetti, i famigerati tricks, che anticamente si riferivano a veri e propri sortilegi, sono di solito ragni di plastica, gelatine verdastre filiformi, scheletri tremolanti tenuti da visibilissimi fili di nylon.

La scena invece di un incontro spaventoso con le streghe riaffiora nel Macbeth di William Shakespeare, tragedia scritta probabilmente intorno al 1605, la cui datazione è stata a lungo dibattuta, e si fonda principalmente su confronti e citazioni con altre opere dell’epoca. Fondamentale la scena del banchetto rievocata da Beaumont Fletcher nel Knight of the Burning Pestle (Il cavaliere del Pestello Ardente, 1607-1610) dove si è visto un chiaro riferimento all’atto III, scena IV del Macbeth. In Beaumont l’apprendista finto fantasma Jasper, con la faccia infarinata dice al suo padrone, il mercante Venturewell:

“E non ti riuscirà mai più di sedere e restartene solo in nessun luogo, perch’io sempre verrò a visitarti con il mio volto di spettro e ti richiamerò alla mente i grandi oltraggi che mi hai fatto. E come siederai a banchetto insieme ai tuoi amici e ti sentirai allegro in cuore e sazio di vino generoso, ecco io mi insinuerò nel bel mezzo della tua fiera allegrezza e, restando invisibile per tutti i mortali tranne che per te, mormorerò al tuo orecchio una storia così sinistra che il tuo bicchiere cadrà di mano e tu resterai muto e pallido come la stessa morte.”[1]

Le tre streghe che Macbeth incontra per sapere che cosa gli riserverà il futuro sono invece una rielaborazione delle Norne della mitologia scandinava, un rimando indiretto alle Parche, secondo alcuni critici di fatto l’impersonificazione di una degenerazione degli impulsi autodistruttivi già anticipati nell’Othello.

Le tre “weird sisters” significativamente salutano Macbeth in tre modi diversi, prima con un titolo che già possiede Thane of Glamis, poi con un titolo che non possiede ancora Thane of Cawdor, e infine con il suo vero desiderio segreto, quello di re di Scozia.

Una tragedia che affronta il tema della degradazione di un’ambizione sfrenata, una storia d’amore terribile con un elemento soprannaturale che ne scandisce il progressivo declino in una serie di efferatezze che non sembrano aver fine.

Quando Macbeth trova le streghe che si sono riunite intorno a un calderone per fare un rito magico, si rivolge a loro in tono sprezzante:

“Ehi, negre arcane, streghe di mezzanotte, che cosa fate lì?”

“Un’opera senza nome.”[2]

Una frase che fa venire i brividi, l’identità del demoniaco che non si deve e non si può svelare…

Ecco che allora l’eco dello scherzetto ricomincia a far paura sul serio.


[1] cit. in Manualetto Shakespeariano, Gabriele Baldini, Einaudi, Torino 1964, p. 432.

[2] Macbeth, William Shakespeare, nel volume De Agostini, Novara 1969, Traduzione a cura di Cesare Vico Lodovici, Atto IV, scena I, p. 345. In inglese “a deed without a name”.

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