La versione di Barbablù

Ovvero il romanzo omonimo di Kurt Vonnegut, altro Barbablù, altra interpretazione. Protagonista un vecchio eccentrico che vive recluso in una casa museo: Rabo Karabekian, americano di origine armena, pittore appartenente alla corrente dell’espressionismo astratto, collezionista d’arte, vedovo, cieco da un occhio. Elemento in comune con il serial killer fiabesco una stanza segreta in cui nessuno può entrare. Cosa nasconde quella stanza lo scoprirete leggendolo, se non l’avete già fatto. La casa è di per sé un enigma, che viene complicato e risolto da un incontro casuale sulla spiaggia: Circe Berman, anni 43, scrittrice, vedova, con le idee chiare su quello che Rabo Karabekian deve fare ancor prima di lui, scrivere la sua autobiografia.

Qui di scheletri nell’armadio ce ne sono anche troppi, vicende da ri-decifrare, catalogare o liquidare risolutamente.

Nonostante il cinismo disarmante del burbero, Rabo esegue gli ordini, anche con una certa disciplina, invita la donna a vivere a casa sua senza nessun bisogno di insistere, obiettivo oltre alla biografia, scoprire che cosa Rabo nasconda a doppia mandata in quello che viene indicato come “patataio”. Pur continuando a brontolare per quella intrusione che lui stesso ha voluto, Rabo comincia a prenderci gusto, alle spalle due matrimoni falliti, e una donna che non ha mai dimenticato, Marilee, un nome con eco. Si fa fatica a immaginare che quell’uomo possa mai aver amato qualcuno, annichilito da troppi ricordi che mettono in circolazione altrettanti dubbi per tutte quelle decisioni che hanno scartato altrettante possibilità ugualmente realizzabili. Mai giudicare la storia di un edificio soltanto dalle sue rovine.

Alla bizzarra compagnia, oltre alla cuoca che abita nel palazzo insieme alla figlia Celeste, non poteva mancare il saggio pazzo, Paul Slazinger, un artista come lui, che entra ed esce di scena secondo l’ispirazione del momento. Slazinger è un filosofo in cerca di soluzioni:

“E che cos’è, Rabo, la letteratura,” mi ha detto, “se non un bollettino parrocchiale su faccende riguardanti alcune molecole di nessuna importanza per nessuno nell’universo, tranne che per poche molecole affette dalla malattia chiamata ‘pensiero?'” [1]

Rabo ascolta e archivia, nel suo diario riaffiorano le parole dell’amico impazzito che vuole pubblicare una sua teoria sulla rivoluzione.

“Non ti ho mai parlato della mia teoria, vero?” mi ha detto.

“No,” gli ho risposto.

Si è picchiato un dito sulla tempia. “È perché l’ho tenuta sottochiave per anni, qui dentro, in questo patataio,” mi ha detto.

“Non sei l’unico vecchio tu, Rabo, che ha lasciato la cosa migliore per ultima.”

“Cosa ne sai del patataio?” gli ho chiesto.

“Nulla. Parola d’onore nulla. Ma perché terrebbe, un vecchio, qualche cosa sottochiave, se non perché intende lasciare per ultima la cosa migliore?” ha detto.

“Ci vuole una molecola per conoscere un’altra molecola.” [2]

Inutile dirvi che il resto della teoria non si conosce, forse bastava questo, o forse parla prima di lui, la scritta sulla sua maglia STOP SHOREHAM, centrale nucleare che venne smantellata qualche anno dopo. Le sorprese non finiscono qui, reazioni idiosincratiche a questo e quello.

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[1]  Barbablù, Kurt Vonnegut, Feltrinelli, Milano, 2007, trad. di Pier Francesco Paolini, p. 162. Bluebeard fu pubblicato nel 1987.

[2] Ibidem, p. 163.

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