Ho passato le feste natalizie con una certa grazia fino al cotechino del primo dell’anno, un tipo di grasso che non si dimentica facilmente.
Tra i libri letti in queste ultime settimane, oltre ai post su Faccialibro con i segni favoriti del 2016 (leone, toro, acquario, scorpione), l’oroscopo cinese della scimmia (favorisce la salute), varie e/o eventuali, metto:
Il pappagallo di Flaubert di Julian Barnes, uscito nel 1984, ripubblicato da Einaudi nel 2014 nella splendida traduzione di Susanna Basso;
Chi ti credi di essere? di Alice Munro, sempre Einaudi (2012), traduzione di Susanna Basso;
Alessandro, romanzo dell’utopia di Klaus Mann, Il Melangolo (2005), traduzione dal tedesco di Gianni Bertocchini.
Parto dall’ultimo che in questo caso non è stato il primo per gradimento.
Alessandro Magno, il Grande, biografia romanzata del figlio di Thomas Mann, scritta a soli 23 anni. Attratta dalla prefazione di Jean Cocteau. Quanto sia attendibile non è dato saperlo, conquiste pagate a duro prezzo, e le solite bassezze umane, alcuni aneddoti mortificanti, tra cui l’abbandono di Arrideo – il fratellastro tardo – a Babilonia perché non c’è più tempo di cercarlo. Le premesse sono un padre ubriacone che violenta ragazzini e una madre che dorme con una cesta di serpenti a fianco del letto, il maestro Aristotele qualcosa semina passeggiando con una borsa di olio caldo appoggiata sulla pancia. Lettura affaticata da uno stile aulico, l’utopia serve a camminare, si arriva fino in India.
Il pappagallo di Flaubert nasce da una sfida: ricostruire la vita dello scrittore partendo dalla microstoria racchiusa in un oggetto, un pappagallo impagliato sulla scrivania di Flaubert durante la stesura di Un coeur simple. Una specie di romanzo capovolto, come racconta l’autore nella postfazione. Apparentemente un potenziale mattone e invece la prospettiva cambia insieme al punto di vista del biografo Braithwaite, un medico inglese, vedovo in pensione, in viaggio verso le spiagge di Rouen alla ricerca di altre verità. Un lutto nel cuore, un vuoto da colmare con vite di altre vite.
Chi ti credi di essere? l’ho invece vissuto più come un compito, avevo letto alcuni racconti della Munro ai tempi dell’università, dopo il romanzo Wild Geese di Martha Ostenso, la metafisica della prateria. Jonathan Franzen consiglia di iniziare da questa raccolta di dieci racconti scritta negli anni settanta che forma un romanzo nell’intreccio delle trame (edizione americana: The beggar maid. Stories of Flo and Rose, edizione canadese: Who do you think you are?). Intanto la frase del titolo funziona per ognuno di noi da specchio: chi ti credi di essere? Chi sei davvero?
Si riparte da Rose, nella lontana provincia di West Hanratty, esotica, come può essere la cartolina di una baita ai tropici. Tutte le cose sono vive. Spinoza.
Auguri Carla, buon anno!
a me incuriosisce molto il libro “Chi ti credi di essere?” …forse la scelta è dettata dal titolo…
mi piacerebbe saperre…”chi credo di essere..”
un caro saluto
.marta
Auguri anche a te Marta! Eh beh, difficile resistere a un titolo del genere 😉 credo che tu lo sappia, ma richiederselo ogni tanto non fa mai male, e poi qui si tratta di una delle più grandi scrittrici canadesi, tradotta da una delle più grandi traduttrici letterarie italiane.