In un momento di entusiasmo filosofico sono andata a consultare la monografia dei Meridiani Mondadori su Giambattista Vico, un’opera in due volumi, il primo con tutti gli scritti in ordine cronologico, in alcuni casi con testo a fronte in latino, il secondo, a sorpresa, un contenitore di note. In teoria uno dovrebbe leggerli in parallelo, una lettura costantemente interrotta da rimandi e citazioni.
Non mi sono persa d’animo e mi sono venute in mente alcune lezioni remote sul “mondo civile fatto dagli uomini”. Vico sottolinea la necessità di reinterpretare gli avvenimenti storici senza cadere nell’errore comune dell’anacronismo storico. Le ricostruzioni storiche dei filosofi e degli storici sono inadeguate e bisogna pertanto ricominciare daccapo; l’ordine delle idee deve procedere secondo l’ordine delle cose. Ma allora qual è la grammatica di lettura dell’universo storico? Rileggendolo “in forma di scienza, col discoprirvi il disegno di una storia ideale eterna, sopra la quale corron in tempo tutte le storie di tutte le nazioni.”
La storia viene quindi rappresentata come il susseguirsi di tre epoche principali: l’età degli dei, l’età degli eroi, l’età degli uomini. Non si tratta di uno sviluppo unilineare e progressivo, l’involuzione e i ristagni sono sempre in agguato. Vico sente il bisogno di intravedere una sorta di Provvidenza Divina che sproni gli uomini a riprendere il cammino. Un tentativo di conciliare i mali del mondo con la presenza rassicurante di una guida ultraterrena.
Cominciando a leggere i pensieri raccolti nella Scienza Nuova, dopo il decimo dacché e la decodificazione delle e in i, perdo in continuazione il filo del discorso. Il linguaggio parla una lingua che non conosco, ogni frase deve essere ritradotta. Una vita di studi dedicata alla tassonomia del sapere con l’ambizione di riscriverlo secondo nuovi parametri, condannata proprio dalla limitazione di un linguaggio ormai lontano, costringendo il lettore a un costante sforzo filologico.
La spesso abusata frase di routine “corsi e ricorsi storici” è probabilmente frutto di un’eccessiva semplificazione, perché in Vico avviene proprio il contrario, tutto viene spiegato minuziosamente.
Interessante invece come nel suo pensiero il mito venga ricollocato nella fase primitiva della storia dell’uomo, un “universale fantastico” che offre un’interpretazione metafisica del mondo. Le figure retoriche nei miti erano l’unico modo in cui l’uomo pensava le cose e tramandava le proprie esperienze. Accanto agli universali fantastici figuravano anche gli universali impossibili, la combinazione di caratteristiche incompatibili in una singola immagine concreta. Ne è un esempio la figura di Cibele che è allo stesso tempo donna, terra, centauri, driadi, cavalli alati. Eppure a queste forme primitive Vico accorda un’autonomia culturale, non vengono messe in relazione allo stadio successivo ma valorizzate nella loro unicità.
E allora dove sono fuggiti gli dei pagani? Che ruolo ha il mito nella nostra vita quotidiana? La risposta non arriva da Vico ma da Joseph Campbell, storico delle religioni e grande interprete dei miti, citato da Hillman: “…The latest incarnation of Oedipus, the continued romance of Beauty and the Beast, stand this afternoon on the corner of 42nd Street and Fifth Avenue, waiting for the traffic light to change.” (La nuova incarnazione di Edipo, la storia d’amore ininterrotta tra la Bella e la Bestia, sono fermi questo pomeriggio all’angolo tra la 42esima e la Fifth Avenue, ad aspettare che le luci del semaforo cambino)
un saggio magnifico…