Il tempo capovolto

 

“Tu lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice.”

(Andrej Tarkovskij)

Apro la finestra, un paesaggio rarefatto coperto da una nebbia fittissima in un’atmosfera sospesa, quasi onirica. Meglio sognare altre atmosfere.

Pavel Florenskij, grande teologo, matematico e storico dell’arte, ha ricostruito un’affascinante teoria sulle dinamiche del sogno. Pare che il primo a teorizzare un tempo istantaneo sia stato il barone Carl Du Prel (1839-1889), sostenitore dell’idea che il tempo potesse davvero fluire dal futuro al passato, dal visibile all’invisibile, ma poco convinto di trovare ascolto tra i suoi contemporanei.

Florenskij si spinge oltre, ritiene che il tempo istantaneo sia fondamentale per capire il “tempo capovolto”, il passaggio da un determinato evento nel mondo esterno a una causa corrispondente nel sogno. Un solo e unico evento viene percepito in due coscienze diverse, in quella diurna e in quella notturna. Apparentemente non c’è un legame diretto, ma se non accadesse quel determinato evento non ci sarebbe una causa specifica percepita dalla nostra coscienza. Nel mondo onirico la causa non si manifesta prima della conseguenza ma dopo, come in uno specchio.

Il viaggio dal mondo visibile al mondo invisibile serve a Florenskij per spiegare l’epifania della creazione artistica: elevarsi a un’altra dimensione per poi scendere con una nuova visione. La sua interpretazione è legata a una rielaborazione teorica dell’icona, dove l’artista è una figura mistica, un viandante che deve percorrere un sentiero insidioso per non cadere preda dell’autoinganno:

“…l’arcobaleno si mostra dopo che si è sparsa la benefica pioggia, la manifestazione celeste, l’immagine dell’alto è data per annunciare e ribadire il dono invisibile concesso nella coscienza diurna, in tutta la vita, come messaggio e rivelazione dell’eternità.”(i)

Ritorna in mente il rigore monastico di Andrej Rublëv, il grande pittore russo di icone del XV secolo, ritratto nel film omonimo di Andrej Tarkovskij. Quando viene finalmente costruita una nuova campana nel villaggio devastato dalla peste, Rublëv si avvicina a Boriska, il figlio del fonditore di campane. Il ragazzo piange disperato, Rublëv che ha fatto voto di silenzio, ricomincia a parlare dopo molti anni e gli chiede: “Perché piangi, invece di essere felice?”

“Perché non conoscevo il segreto della formula! Capisci? Mio padre è morto portandoselo con sé…”

“Tranquillo…da questo momento tu comincerai a fondere campane e io ricomincerò a dipingere.”


(i) Pavel Florenskij, Saggio sull’icona, Adelphi, 1997 Milano, pp. 41-42.

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