Polvere di neve e fritoe

Bartolomeo Scappi

Il modo in cui un corvo
Di sopra una cicuta
Scrollò sopra di me
Una neve minuta
Diede al mio cuore un tale
Mutamento d’umore,
Da salvare un mio giorno
Ormai senza valore.
 
Polvere di neve, Robert Frost
 

Come ogni Carnevale, almeno qui a Venezia, c’è un freddo polare insopportabile. Ogni anno è così, è la punizione inflitta a chi decide di vestirsi in maschera e vagare ubriaco per calli, scontrandosi con folle in contromano e vigili che invece di veicolare il traffico pedonale lo peggiorano. Ho abbandonato questa malsana abitudine da decenni, il Carnevale lo evito come la peste, le damine e i balli in maschera, i coriandoli impigliati nei capelli appartengono a un passato remoto. Le frittelle no, le mangio sempre di gusto, poi il mercoledì delle Ceneri annuncia la fine della pacchia con il proposito di mettermi a dieta ed entrare in un clima di austerità culinaria forzata, che tanto dura lo spazio di qualche giorno.

A casa i libri non mancano, così ho consultato qualche antico ricettario sul tema. Ho scoperto un’autentica chicca, un volumetto che io e mia sorella regalammo a mio padre – utilissimo scrivere le dediche – cuoco provetto, La Cucina Veneziana[1], mai aperto fino a questa settimana. Leggendo la ricetta delle frittelle veneziane mi chiedevo chi fosse il genio ad aver scritto un testo tutto da interpretare, sicuramente non alla lettera, ventiquattro uova scoraggerebbero chiunque, a meno che non prepariate un banchetto per maiali, ma che va ridimensionata a standard contemporanei. Consigliabile affidarsi al buon senso, astenersi invece chi non è in grado di cucinare un piatto senza angustiarti in continuazione con inutili domande, per intenderci gli eterni indecisi, quelli che devono pesare anche un pizzico di sale.

L’autore è Bartolomeo Scappi, maestro de L’arte del cusinare, pubblicato nel 1570, un veneto che fece la sua fortuna a Roma come “cuoco segreto”, ossia personale di Papa Pio V.

Pare sia stata un’edizione fortunatissima, con varie ristampe, l’italiano è a tratti incomprensibile, ma per chi è abituato a Pellegrino Artusi sarà come riconoscere un lontano trisavolo:

Per fare varie sorte di frittelle e prima per fare frittelle alla venetiana

Faccianosi bollire sei libbre di latte di capra in una cazuola ben stagnata con sei oncie di butiro fresco e quattro oncie di zucaro e quattro oncie di acqua rosa et un poco di zafferano et sale a bastanza e come il bollo si comincia ad alzare si poneranno dentro due libbre di farina a poco a poco, mescolando continuamente col cocchiaro di legno, sino a tanto che sarà ben soda come la pasta del pane: poi cavisi et pongasi un vaso di rame, ovvero di terra, mescolandola con la cocchiara di legno o con le mani fin tanto che si raffreddi, poi habbinsi ventiquattro ova fresche e ponghisino dentro ad uno a uno, mescolando di continuo con la cocchiara di legno o con le mani fino a tanto che la pasta sarà diventata liquida: finito che sarà di mettere l’ove, battisi per un quarto d’ora fino a tanto che faccia el visiche e lascisi riposare per un quarto d’hora nel vaso bene coperto in luogo caldo e rigattasi un’altra volta. Poi habbisi apparecchiata una padella con strutto dandogli il fuoco, et muovasi la padella facendo che le frittelle si voltino nel strutto. Come si vedrà che hanno preso alquanto di coloretto e saranno leggiere, cavisino con la cocchiara forate e servisino calde con succaro sopra.[2]

Improponibile ma simpatico. In pratica fare a occhio 😉

[1]Giuseppe Maffioli, Franco Muzzio Editore, Padova 1987.

[2]Ibidem, pp. 76-77.

4 pensieri su “Polvere di neve e fritoe

  1. Che meraviglia le fritoe! Dopo i tramonti dalla Giudecca, penso che siano la cosa che mi è piaciuta di più da quando vivo qui. Magari è la stessa ricetta che usano da tonolo 🙂

    1. Buongustaia 🙂 buone le fritoe di Tonolo, non credo, queste di Bartolomeo sono dei mattoncini in confronto, se però si riducono le uova, e si correggono gli ingredienti – l’idea di base è di non usare il lievito – il risultato è ottimo. Io abitavo vicino alle Zattere, una delle mie zone preferite di Venezia.

  2. ….una padella apperacchiata…
    è troppo bella!….
    ..ma questa è incomprensibile: “cavisino” con la cocchiara traforata…

    curioso e interessante post!

    Buona settimana
    .marta

Rispondi