London’s calling #7: Airport music

Luoghi non luoghi superluoghi liberamente rivisitati

Sara perché mio padre era un pilota, sarà perché ti amo, per me gli aeroporti sono non luoghi superfamiliari. A cominciare dagli elenchi interminabili dei piani di volo, mio padre era imbattibile, guai a chiedergli dove era stato, Parma-Bologna-Venezia-Venezia-Roma-Roma-Palermo-Palermo-Parma-Parma-Venezia, ti prendeva alla lettera…a quello strano alfabeto che funziona solo tra loro, Alfa Bravo Charlie Zebra Zulu, agli intervalli o gap temporali tra un terminal e un altro, con variazioni climatiche da freddo polare artico a caldo tropicale, una sciarpa in borsa è un’ottima idea. Londra ne ha quattro, volendo c’è anche il City Airport, per chi si paga l’aereo privato, ma lasciamolo lì dove sta, per noi comuni mortali restano gli altri. Luton, a meno che tu non abbia dei parenti nel Buckinghamshire è da evitare, soprattutto dopo un volo con la Ryan Air, potresti diventare violento. Gatwick ti prepara da subito alla doppia opzione che è un ricatto: vuoi arrivare a Victoria Station pagando un sacco di soldi in poco tempo, o viaggiare con Poirot con poltrone lerce di velluto vittoriano risparmiando qualche penny? Dipende dal volo e dal budget, di solito ti costa più il treno per arrivare a Londra che il volo. L’atterraggio a Gatwick riserva a volte delle sorprese, risparmi, ma non è detto, l’odiosa trasferta in pullman verso il Terminal, che personalmente è il pezzo di viaggio che non sopporto, gente che ti spinge, c’è sempre qualcuno che ti pesta un piede con una scarpa da Frankenstein, hai freddo, fame, sete, l’autobus puzza di ascelle congelate dall’aria condizionata a palla, a volte ti accoglie un braccio metallico che ti proietta direttamente dall’aereo a una sala con moquette sobria fucsia e bluette deserta ma dentro l’aeroporto. Fai chilometri ma non importa, la meta è vicina se trovi la sala con i bagagli, c’è sempre una carrozzina che gira a vuoto abbandonata, e magari il proprietario la sta aspettando in un altro aeroporto, chissà. Stansted progettato da Rogers+Partners, nell’Estremo Est, è pieno di luce, negozi, ma te la fa pagare, il treno per Liverpool Street costa più di un figlio all’università come dicevano i nonni. Se prenoti con anticipo, ti fanno uno sconto di un pound o due, che alla fine è irrilevante, thank you very much Stansted Express. Hai però pagato il volo due pound, si può fare, dai, crepi l’avarizia paghi il volo sul treno per Londra Liverpool Street, e che sia finita, London here I come. Il mio preferito rimane Heathrow, una città nella città, anche qui c’è il Terminal 4 e il Terminal 5, che implicano altri due viaggi in altri due paesi, ma un male minore rispetto alle offerte. Cambi terminal, e cambiano gli arredamenti, da Aiazzone style a iper tecnologico con delle luci al neon abbaglianti, ti provi un po’ di profumi con gli occhiali da sole come una spia sovietica, dai un’occhiata alle pareti con vetrine, c’è pure il pub finto irlandese, insomma sei a casa, quasi. E poi parte la Airport music, che non è l’album di Brian Eno, ma è quel sottofondo insopportabile forzato-felice che ti accompagna ovunque, varia solo secondo le stagioni. Intorno a Natale suonano a nastro le elettro-renne pop con campanellini, il ritmo è lento, troppo lento, senza pausa ovviamente. Vincono le renne, dopo un quarto d’ora ondeggi la testa anche tu, mentre guardi svogliatamente i best seller che non comprerai nella libreria dentro il negozio di accessori che confina con il cocktail bar che confina con il negozio di cravatte, sei della famiglia delle renne. Allora hai tre possibilità, scappi a Londra con l’Heathrow Express in 15 minuti dentro uno shuttle spaziale comodo e al caldo, prendi il treno più lento a malincuore con scolaresche in gita che urlano, o sfoderi la tua oyster card e scendi negli inferi della Piccadilly Line, e con molta calma ma molta arrivi in città, dopo tutto sei solo in zona 6, the world is your oyster.

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