Io, Smashwords e gli ebook

Mi sono avvicinata alla scrittura attraverso la traduzione letteraria, dedicando anni di studio all’interpretazione di libri scritti da altri, sperimentando stili e generi diversi. Alla fine del 2007, dopo una stagione impegnativa in Grecia a lavorare come croupier ai tavoli del Black Jack e dello Stud Poker (il Poker caraibico per chi frequenta i casinò), ho cominciato a scrivere più frequentemente. Non è stata una scelta, ma un’esigenza che con il passare del tempo è diventata insopprimibile.

Le cose si sono complicate quando ho deciso di pubblicare quello che avevo scritto. Sono stata immediatamente investita da un coro di dissuasori che mi hanno ripetuto fino alla nausea che “sarebbe stato molto ma molto difficile.” Non gli ho dato retta e ho cominciato a constatare di persona i tempi biblici delle case editrici italiane che di solito non rispondono, e quando rispondono, lo fanno dopo un periodo che varia dai quattro ai sei mesi, allora mi è venuto in mente il responso sfavorevole del coro lamentoso.

Da subito mi sono rifiutata di esplorare l’opzione agenti a pagamento, probabilmente se non avessi vissuto a lungo in Inghilterra, il regno dell’empirismo, forse avrei continuato a mandare lettere, ma dopo l’allenamento intensivo dei moltissimi colloqui di lavoro corredati da domande apparentemente insulse a cui dovevano seguire risposte convincenti, ho deciso che era arrivato il momento di mettere in pratica la tanto decantata proactivity.

Degli amici americani mi hanno fatto conoscere Smashwords, una piattaforma dedicata agli ebook e agli scrittori indipendenti. Qui sono riuscita a dare spazio alle mie storie che finalmente hanno trovato una collocazione. Mi piaceva l’idea di creare un tipo di testo che fosse accessibile a tablet diversi e ancora di più che fosse adattabile alle esigenze dei miei potenziali lettori. Per questo motivo i miei ebook non hanno la protezione DRM proprio per garantire una maggiore trasportabilità. La contaminazione fra flussi di contenuto è ormai un fenomeno sempre più evidente, ogni lettore gestisce e compila archivi di navigazioni in rete in modo del tutto personale.

In Italia il self-publishing riveste ancora un ruolo marginale. Di solito si pensa che questo tipo di pubblicazione sia il frutto di uno scrittore improvvisato, in realtà è tutto il contrario, si intraprende un viaggio in solitaria a cui bisogna prepararsi.

Il concetto stesso di self-publishing sospende ogni forma di giudizio, non ci sono filtri, si è responsabili di tutto in ogni fase, dalla formattazione al marketing, in completa autonomia, un cambio radicale di prospettiva in cui si diventa editori di se stessi. Una volta caricato il tuo ebook, dopo aver dovuto interpretare manuali tecnici noiosissimi, ti dovrai scontrare con la diffidenza tipica di chi non ti conosce, legge il sample gratuito e valuta con attenzione quasi maniacale se leggerti o meno.

Il vanity publishing, l’editoria a pagamento, invece è un altro percorso, si paga per essere pubblicati. In Italia le cose si confondono ulteriormente perché il self-publishing diventa vanity publishing, paghi in entrambi i casi, a differenza degli Stati Uniti, e vieni quasi sempre tacciato di narcisismo sfrenato.

Un mare magnum dove tutti si parlano sopra. Gli ebook vivono sospesi in un mondo virtuale finché non vengono scelti da un lettore e trasferiti altrove in un’altra dimensione. A differenza dell’edizione cartacea, gli ebook sono dei camaleonti digitali in attesa di nuove configurazioni.

Attualmente fluttuo in sei formati diversi.

La grafica delle copertine è di Claudia Bonollo.

Rispondi