“…fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.”
(Dante, Inferno XXVI, 119-120)
Alle medie ci costringevano a fare le parafrasi dell’Odissea, un esercizio stilistico dove di solito si riscrive male quanto è già stato detto, ma a quell’età non si potrebbe fare altrimenti. Si leggevano le versioni neoclassiche di Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, confrontandole con la traduzione ‘moderna’ di Rosa Calzecchi Onesti. Nel programma di studio Ulisse ricompariva in Dante, all’inferno nella bolgia dei fraudolenti, avvolto in una lingua di fuoco. Curiosamente Dante non aveva mai letto l’Odissea, la fama dell’arguzia di Ulisse gli era stata tramandata dagli scrittori latini, principalmente da Orazio e Seneca. Ulisse non veniva punito per la sua hybris, per essersi spinto ai confini del mondo, ma per le macchinazioni e gli inganni perpetrati ai danni degli altri. Come non ricordare l’urlo disperato di Polifemo che, accecato da un tizzone ardente, accusa Nessuno ma viene ignorato perché i ciclopi pensano che sia ubriaco?
Le cose si complicavano quando al liceo tentavano di spiegarci in modo ordinato l’Ulisse di James Joyce e il flusso di coscienza. Dopo pochi minuti era inevitabile perdersi nei meandri della mente, e ritrovarsi a fissare le foglie degli alberi fuori dalla finestra. Quando poi a casa riprovavi a leggere la prefazione, che ti scoraggiava da subito perché scritta in caratteri minuscoli, alla seconda pagina avevi già intuito una verità fondamentale: non potevi capire il flusso di coscienza di Joyce senza praticarlo di persona.
Con il passare del tempo, si cominciano ad affinare i propri gusti letterari, si continuano a ricordare a memoria le classificazioni ideologiche che ti hanno inculcato a scuola e da cui non ti libererai mai, come il passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico universale di Leopardi, ma ormai si è pronti per nuovi orizzonti.
“Allora diventa adulto mio Telemaco, diventa forte.
Solo gli dei sanno se ci rivedremo
ancora. È da tempo che hai smesso di essere quel bambino
davanti al quale frenai i tori che aravano.
Se non fosse stato per l’astuzia di Palamede
noi due vivremmo ancora insieme nella stessa casa.
Ma forse aveva ragione, lontano da me
ti sei messo al riparo da tutte le passioni edipiche
e i tuoi sogni, mio Telemaco, sono innocenti.”
(Tratto da Josif Brodskij, Odysseus to Telemachus, 1972)
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L’articolo è stato scritto il giorno in cui l’Italia prendeva parte all’operazione “Odissea all’alba” in Libia.
2 pensieri su “Le Odissee che preferisco ricordare”