“Per gradini di sogni e stanchezze mie, scendi dalla tua irrealtà, scendi e vieni a sostituire il mondo.”
(Fernando Pessoa)
Il libro dell’Inquietudine è un libro a cui sono particolarmente affezionata, un capolavoro letterario composto da frammenti di pensieri raccolti in un diario intimo. Pubblicato postumo nel 1982, la storia della sua compilazione è stata piuttosto travagliata.
Jacinto do Prado Coelho ha organizzato il lavoro di raccolta dei 27543 documenti che fanno parte del “Fondo Pessoa”. I fogli del Libro dell’Inquietudine vennero catalogati in nove buste numerate, le prime cinque furono autografate dall’autore stesso come Livro do Dessassoego, le altre invece sono il frutto del lavoro di studiosi che dalla morte dell’autore nel 1935 in poi hanno dedicato al “Progetto Pessoa”, che inspiegabilmente ha una strana assonanza con il misterioso Progetto DHARMA (Department of Heuristics And Research on Material Applications) della serie televisiva Lost…
Persi devono esserlo stati davvero, ma non si sono scoraggiati, procedendo in modo analogico, suddividendo l’opera in varie arie tematiche, cercando di ordinare il caos dei pensieri nel labirinto della mente di Pessoa e del suo eteronimo Bernardo Soares. Un autore che aveva già nel suo cognome l’anonimato della maschera, lo sdoppiamento in un’altra persona rianimato ogni volta da molteplici alias letterari.
La grandezza del libro è dovuta al fatto di non essere un libro definitivo, ma un libro ipotetico, ricco di suggestioni, spunti: le inquietudini di un uomo che sta alla finestra. Una visione ancora attuale, impossibile non trovare un inquietante parallelo con altre finestre più tecnologiche nel loro aspetto voyeuristico.
Ogni paragrafo è autonomo in sé o come trama di un disegno più grande. La lettura varia a seconda del nostro stato emotivo con sequenze e tempi diversi, che non sono necessariamente quelli scanditi dal tempo del libro ma dal nostro tempo interiore.
Chi è allora Bernando Soares? Pessoa lo descrive così:
“Era un uomo dall’apparente età di trent’anni, magro, piuttosto alto, esageratamente curvo quando stava seduto ma un po’ meno quand’era in piedi, vestito con una certa ma non totale trascuratezza. L’aria sofferente non conferiva maggiore interesse al pallido volto dai tratti comuni; una sofferenza di difficile definizione che poteva indicare varie cause: privazioni, angosce, e quel patimento che nasce dall’indifferenza proveniente dall’aver sofferto molto.”(1)
Eppure quest’uomo, apparentemente insignificante, con un’esistenza mortificata da un lavoro noioso da contabile ha delle intuizioni illuminanti. Lisbona con i suoi miradores costituisce il setting ideale di un paesaggio dell’anima. Persino il consueto tragitto quotidiano da casa a lavoro in Praça da Joao da Camara diventa oggetto di acute riflessioni.
Il dessassoego in Pessoa acquista una nuova connotazione, più legata al concetto di solitudine, l’essere privato della compagnia degli altri. Si tratta però di un senso di solitudine che è il preludio dell’esperienza creativa, l’esigenza di produrre un vuoto che deve essere riempito da un progetto ispiratore. Un linguaggio arricchito da elementi naturali: cieli plumbei che minacciano l’orizzonte, nuvole che corrono, raggi di luce che invadono improvvisamente viottoli bui in una dimensione costantemente sospesa tra l’onirico e il reale. In molti casi si ha l’impressione di rivivere degli autentici dé-jà vu, a volte assistiamo a delle massime inconsapevoli che hanno una saggezza innata. Echi di voci di un’anima poetica universale:
“Il saggio è colui che riesce a rendere monotona l’esistenza, perché allora ogni piccolo incidente possiede il privilegio di stupirlo. Il cacciatore di leone non prova più l’avventura dopo il terzo leone. Per questo cuoco monotono, una rissa nella strada ha sempre qualcosa di una modesta apocalisse. Chi non ha mai lasciato Lisbona farà un viaggio infinito sul tram che va a Benfica, e se costui un giorno si reca a Sintra ha la sensazione di aver fatto un viaggio fino a Marte.” (2)
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(1) Tratto da Il libro dell’Inquietudine, p. 23, Feltrinelli, Milano 2000. Traduzione di Maria José De Lancastre e Antonio Tabucchi.
(2) Ibidem, Frammento 56, p. 43.
sublime…
Grazie…Pessoa è uno dei miei autori preferiti.