London’s calling #2: Trellick Tower

Luoghi non luoghi superluoghi liberamente rivisitati

Excuse me, while I kiss the sky

Jimi Hendrix

Trellick Tower, è un edificio brutalista degli anni ’70 dell’architetto ungherese Ernö Goldfinger – Dito d’oro era anche un designer – ideato come casa popolare, ha anche un fratello minore a Poplar, nell’East End, tempio del crimine, di violenza, una torre di cemento grigio che si staglia contro un cielo grigio, una specie di bastione visibile lungo il tragitto che porta dal quartiere di Notting Hill a Camden, costeggiando il canale. La prima cosa che tutti dicono appena lo vedono è di solito “chissà che vista dall’ultimo piano”, forse è perché l’unica cosa che si riesce a dire per compensare l’atmosfera tetra che lo circonda, citato in molti programmi inglesi del passato, e immortalato magistralmente in un film di Martin Stellman For Queen and Country (Dio salvi la Regina), con un giovanissimo Denzel Washington che fa la parte di un soldato arruolato più per fame che per vera convinzione, che dopo aver partecipato alla guerra delle Falklands, torna a casa, un ascensore per il patibolo, senza prospettive, senza lavoro, in un ambiente incazzato con il mondo tanto quanto lui… Si guarda a quella torre con fastidio e pena, una creatura che ha sempre vissuto fuori dal tempo, ora quasi grottesca rispetto agli altri grattacieli, nulla in comune con la Scaglia di vetro di Renzo Piano a Southwark, riportata in vita dal cemento e dalle urla di chi ci abita, diventata quasi di moda per non essere quello che doveva essere – una ex proprietaria è stata fotografata su tutti i giornali con un sorriso stampato sulle labbra per essere riuscita a vendere il suo modesto appartamento per 375,000 sterline, bonus rappresentato dalla vista panoramica dall’alto – un agglomerato urbano di convivenza civile e ordinata, che non ha nemmeno il ricordo di qualcosa di ordinato e urbano, un grido di desolazione, ignorato dal flusso di compratori di dischi, edizioni vintage ripescate nel mercatino di Portobello, che esisteranno sempre, immortali come gli Highlander. Eco di giorni migliori, ricordati anche dai Blur, “Trellick Tower’s been calling, I know she’ll leave me in the morning”, con quella tipica ironia inglese di saper veder oltre, che riesce sempre a distrarti con altre viste, altre promesse, altri cieli…

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A Sisterly production…le immagini dell’Atlante delle nuvole sono a cura di Claudia Bonollo 

9 pensieri su “London’s calling #2: Trellick Tower

  1. Come fai a conoscerla se non ci sei mai stata? E una volta che hai controllato sulla mappa? Il punto non è questo, non è verificare l’ubicazione del luogo – il mostro di cemento – ma andare oltre…immaginare altri contesti…

      1. Non mi resta che dare uno sguardo con google .. Non riesco ad immaginarlo nel contesto urbano di una Londra “conosciuta” attraverso il mio immaginario

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