Ieri leggevo un articolo su Le Monde Diplomatique sul senso della responsabilità, le variazioni climatiche, le guerre in corso, le armi, le migrazioni, roba seria insomma, nel frattempo tentavo di rinfrescare il mio francese arrugginito da anni.
Non sono mai stata un’attivista politica, nelle assemblee assistevo muta alle arringhe degli altri, già dai tempi dell’università, quando in aula magna sbucavano fuori studenti oratori che non avevi mai visto prima, né a lezione, né altrove, che con piglio deciso prendevano la parola, e citavano tutte le leggi da elencare alla stampa che annunciava l’occupazione imminente, mentre il tuo codice civile con copertina plastificata se ne stava sullo scaffale di casa con un’orecchia indelebile su un angolo, consultato raramente alla ricerca di paragrafi incomprensibili pieni di frasi sibilline che raccoglievano mondi che non comprendevi né allora né adesso.
Trovavano il modo per farti sentire in colpa su tutto, puntando il dito sul senso di responsabilità che ognuno doveva avere, dare delle risposte. Quali? E verso chi? Come facevano a essere così sicuri?
Ma se è tutto un magna magna, pensavi con vergogna in silenzio. Poi man mano sono arrivate le delusioni, che hanno i loro vantaggi, brutali nei loro assalti rivelatori, vedi quello che non volevi vedere, campi da battaglia inclusi. I burocrati rivoluzionari si sono quasi tutti piazzati all’università – corsi uguali a quelli di vent’anni fa – o occupano ruoli istituzionali. Sono rientrati nel Sistema.
Sul senso di colpa si potrebbe discutere a lungo e ognuno ha le sue interpretazioni, percorso faticoso verso l’auto-consapevolezza, doloroso quando fa coppia fissa con il rimprovero, come un disco rotto. Hai già chiesto scusa, ma “se continui a comportarti come prima, ti ribecchi il rimprovero”, non se ne viene a capo, fino a che non cambi, anche disco, volendo. Dopo aver attraversato molte tempeste, le risposte arrivano.
Forse non ti sono necessario,
notte; dalla voragine totale
simile a una conchiglia senza perle
sono stato gettato alla tua riva.
Di schiuma gonfi impassibile le onde,
canti scontrosa;
eppure l’amerai, l’apprezzerai,
la bugia dell’inutile conchiglia.
Le giacerai accanto sulla sabbia,
la indosserai come la tua pianeta,
tenacemente unite intreccerete
l’immensa campana delle increspature,
e le pareti della fragile conchiglia
come il guscio di un cuore inabitato
riempirai dei sussurri della schiuma,
di pioggia, nebbia, vento. [1]
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[1] La conchiglia, di Osip Mandelstam, Poesie, a cura di Serena Vitale, Garzanti, 1972.