Il cuore delle cose

Mi sono messa a rileggere un ormai “classico” giapponese. Il titolo si riferisce al capolavoro del maestro Natsume Soseki, il romanzo che svelò la letteratura giapponese al resto del mondo. Pubblicato per la prima volta nel 1913, protagonista dell’opera è il rapporto tra maestro e discepolo, un romanzo nel romanzo. All’inizio la relazione con il maestro parte timidamente, sullo sfondo il paesaggio rassicurante del mare. Il discepolo va a trovare il maestro nella località balneare di Kamakura.

Mappa di localizzazione: Giappone

Poi prosegue a Tokyo, ma la frequentazione ha bisogno di molta dedizione e costanza, il maestro non sembra lasciarsi andare a rivelare troppo di sé, né capisce l’interessamento del giovane nei suoi confronti. Dall’esterno una vita piuttosto abitudinaria, poche amicizie, una visita mensile alla tomba di un misterioso amico al cimitero, ore dedicate allo studio.

Un giorno, viene invitato a rimanere per il sake, e ha modo di conoscere meglio la moglie del maestro, la bella Shizu. Questa volta la conversazione svela anche troppo, scopre che la moglie vorrebbe un figlio, il maestro sarebbe disposto anche ad adottarne uno mentre la donna si chiude nelle sue ragioni. Nessuno dei due sembra soddisfatto, il discepolo non sa cosa dire.

Passano altri giorni fino a che viene interrogato dal maestro:

“Tu sai che cosa significhi essere legato da lunghi capelli neri?”

Il discepolo, non essendosi ancora innamorato, non ha ancora una risposta…lo capirà con il tempo insieme a noi lettori.

§

“Sono contento di averti scritto. Non pensare che l’abbia preso come un passatempo. Il mio personale passato, che ha fatto di me ciò che sono, è una parte dell’esperienza umana. E soltanto io sono in grado di raccontarlo. Credo che il mio sforzo di dare un resoconto così sincero abbia avuto uno scopo abbastanza preciso. Se la mia vicenda aiuterà te e altri a capire anche solo una parte di ciò che noi siamo, mi riterrò soddisfatto.”

Il cuore delle cose, Natsume Soseki, Neri Pozza, 2005, traduzione di Gian Carlo Calza.

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