La padrona di casa è una vecchia signora, cicciottella come Margaret Rutherford, la mia attrice preferita nel ruolo di Miss Marple. Ha i capelli bianco ghiaccio, gli occhi azzurri cristallini, è una donna energica con cui vado molto d’accordo. Ogni mattina mi prepara la colazione, poi esamina il mio look in salotto.
“Marvellous darling! Marvellous darling!”
La sera quando salgo in camera, mi aspetta per una chiacchierata nel suo studiolo, la trovo davanti al computer, ha un i-book come me. Il marito è un uomo pedante che ha una voce stridula, si limita a eseguire i suoi ordini.
“Hai notato che le persone di una certa età diventano più religiose e praticano come hobby il giardinaggio?”
“In effetti lo fanno.”
“Sai perché lo fanno?”
“Non me lo sono mai chiesta.”
“Beh lo fanno perché sentono che stanno per morire e che torneranno alla terra.”
Non posso che annuire, a volte se ne esce con certe frasi che ti fanno sempre riflettere. Fra gli inquilini sono la sua preferita, mi ha dato la stanza del figlio che fa il manager a Hong Kong, mi ha permesso di fumare in camera e sono quella che paga meno.
Kuniko è un personaggio tragico, vive reclusa in casa occupandosi degli animali, non è in grado di comunicare in inglese. Cucina molto bene, al mattino a volte trovo un sacchetto appeso alla maniglia con dei biscotti fatti da lei. Quando la ringrazio, commossa dal gesto, lei china semplicemente la testa e ride imbarazzata coprendosi la bocca. In Giappone torna una volta all’anno, ma è un argomento tabù di cui non si può parlare. Se mi sveglio nel cuore della notte per andare in bagno, la ritrovo sulle scale come una figura spettrale, aspetta che il gatto Madeleine rientri dalla passeggiata notturna, lascia la porta d’ingresso aperta come se non si fidasse della gattaiola. Una vita a servizio di un gatto ma poi mi viene in mente Io sono un gatto di Soseki e capisco il perché.
In casa oltre a Madeleine c’è anche Ernest, un soriano decisamente antipatico e due setter che vagano indisturbati in giro per le stanze, ma non nella mia. Io ignoro i loro nomi e loro ignorano me. Questa mania di chiamare gli animali con nomi di persona è un modo per legittimare gli istinti di norma repressi. Beviamo il tè in salotto mentre Marcus il cane scoreggia rumorosamente ed Ernest si lecca le palle a zampe all’aria.
To be continued…