Venezia #2: Strada Nuova

La moda di amare Racine passerà come quella del caffè

 

Ora sappiamo invece quanto Voltaire avesse torto.

 

Nelle mie peregrinazioni capito raramente vicino a Strada Nuova, preferisco fare il periplo di Venezia passando per l’Accademia e poi dritta verso Rialto, tornando indietro per San Polo, cerco sempre di fare un tragitto diverso dall’andata, semplicemente per non annoiarmi.

Strada Nuova è uno strano mélange, fiumi di persone che invadono ogni giorno la città una volta scese alla Stazione di Santa Lucia, non a caso la santa protettrice della vista. I turisti, li riconosci subito, li vedi confusi che vagano per le calli, teleguidati dalle mappe tecnologiche dei telefonini. Poi li ritrovi seduti tutti soddisfatti in ristoranti tristi, quelli che hanno il cameriere con un sorriso stampato sulle labbra che ti aspetta fuori sulla porta sventolando il menu tradotto male in quattro lingue, e tu, in cuor tuo, sai già che pagheranno un prezzo troppo alto per un piatto del giorno poco appetitoso, loro invece sembrano felici, coppie che si tengono le mani guardandosi negli occhi.

Strada Nuova, costruita grazie all’interramento del canale che scorreva proprio dove ora c’è il pavimento, si distingue per la sua ampiezza maestosa, molto più larga rispetto alle calli strettissime e i vicoli bui, spazi finalmente aperti. Qui rispetto un rituale, una breve sosta per un caffè in una piccola bottega antica dove si entra e si trova già il bancone apparecchiato con i piattini delle tazzine e i cucchiaini in fila.

Uno dei personaggi più eccentrici della commedia di Carlo Goldoni, lavora proprio in una bottega del caffè, un nome che fa già sorridere: Trappola, il servitore del proprietario Ridolfo. La trama si snoda attorno al classico canovaccio della triade azzardo-dissoluzionefamigliare-passione, che contempla il passaggio dal caos all’ordine, complicato ulteriormente dal rovesciamento dei ruoli innescato dalle maschere del Carnevale. Eugenio, un mercante di stoffe, è un giocatore d’azzardo accanito, tradisce la moglie Vittoria, bella e amorevole, perde ingenti somme di denaro ma viene sempre graziato dall’intervento provvidenziale del saggio Ridolfo che riscatta puntualmente i suoi debiti. Trappola aggiunge una ventata di brio allo sviluppo degli eventi, una spalla ai dialoghi:

 

Trappola: Ecco che viene, Lupus est in fabula.

Ridolfo: Cosa vuol dire questo latino?

Trappola: Vuol dire il lupo perde la fava.

Ridolfo: È curioso costui, vuole parlare latino, e non sa nemmeno parlare in italiano.[1]

 

Già… alla fine la vittoria trionfa sempre, almeno nelle commedie. Bevo il caffè di gusto, esco in direzione Santa Maria dei Miracoli, la chiesa che ha una facciata immersa nell’acqua.

 

Anche la bellezza è nascosta nell’acqua, così come il tempo non la rispetta. Un giorno ti accorgerai che la bellezza è semplicemente un frammento di eternità venuto in nostro soccorso: ci aiuta a vivere.[2]

 

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[1] Atto II, scena I, La bottega del caffè, Carlo Goldoni, edizione Bur, 1984.

[2] Josiph Brodskij.

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