In un’epoca di contraddizioni come questa dove tutti si rincorrono dietro ai loro i-phone, e una lettera con un timbro da Roma ci impiega tre mesi per planare da una scrivania all’altra, e la burocrazia si muove come un pachiderma indolente con scaltraggine millenaria, mentre qualcuno ti regala ancora un rametto di mimose – ormai una rarità – e un altro ti prende a mazzate perché gli va così, e ci sono sempre i vicini indifferenti tra grida allucinanti che fingono di non sapere nulla, che per levarsi da possibili guai dicono sempre che si trattava di persone per bene, a volte le sorprese continuano ad arrivare nei posti e nei momenti più impensati.
Come accade in The Killing (1956), uno dei primi film di Kubrick, un’uccisione, un colpo che in italiano diventa Rapina a mano armata, e ha il brutto vizio di anticipare nel titolo azioni future…si tratta infatti di una rapina in un ippodromo, mal progettata fin dall’inizio dove nessuno è convinto di quello che deve fare…tutti i personaggi sono guidati da un’avidità disperata nel tentativo di riscatto di comprarsi con il denaro rubato una via di fuga impossibile, che non arriverà, appartiene al genere noir con morale.
In un club di scacchi dove lavora Maurice, un ex compagno di cella che Johnny Clay – Giovanni Argilla – deve incontrare per ridefinire alcuni dettagli del piano, il socio, si lancia in una riflessione filosofica che è già un cattivo presentimento, è una visione che riflette i limiti dolorosi della sua esperienza, costretta a procedere per antinomie, proprio perché non c’è molto margine di movimento quando si è in fuga perenne, frammenti di mondi violenti che diventano visione del mondo, un’interpretazione distorta che rende epico tutto ciò che è inaccettabile, in cui il crimine è semplicemente la conseguenza di una mossa in un gioco d’azzardo eroico con regole ben precise che hanno una loro “verità”:
…In questa vita dobbiamo conformarci agli altri, alla mediocrità perfetta, non essere né meglio, né peggio, l’individualità è un mostro e bisogna soffocarlo nella culla per fare in modo che i nostri amici si sentano sicuri…spesso ho pensato che i gangster e gli artisti siano uguali agli occhi delle masse. Sono ammirati e adorati come eroi, ma c’è sempre il desiderio strisciante di distruggerli e annientarli all’apice della loro gloria.
E Johnny Clay da buon ottuso non capisce.
verissimo, purtroppo!
una scena che è bene rivedere ogni tanto…
…l’individualità è un mostro e bisogna soffocarlo nella culla per fare in modo che i nostri amici si sentano sicuri…
Spero ci siano davvero questo tipo di mostri…
buona domenica Carla
🙂
ci sono ci sono, è pieno di persone con talento alla faccia di chi non le vuole vedere…ciao Marta, buon inizio settimana, sono appena rientrata a casa 🙂