I confronti sono odiosi
Robert Burton, Anatomia della Malinconia, 1621
Nell’ultimo mese di questo faticoso 2012 sono andata a rileggere alcuni versi di John Keats (1795-1821), il poeta romantico per eccellenza, spesso ricordato per l’ode all’usignolo o usignuolo a seconda delle antologie, omaggiato anche in un saggio di Borges[1], che citando Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer apre uno scorcio illuminante sulla dimensione atemporale:
Chiediamoci con sincerità se la rondine di quest’estate è un’altra da quella dell’estate passata e se realmente tra le due il miracolo di trarre qualcosa dal nulla si è verificato milioni di volte per essere smentito altrettanto dall’annientamento assoluto. Chi mi oda affermare che il gatto che sta giocando lì è lo stesso che saltava e scherzava in quel luogo trecento anni fa, penserà di me quello che vorrà, ma pazzia più strana è immaginare che fondamentalmente sia un altro.[2]
Sempre secondo Borges, Keats ha intuito attraverso la poesia l’importanza dell’archetipo, la forma-pensiero dell’immaginario umano.
L’Ode alla Malinconia [3] offre un ritratto significativo, la personificazione delicata di uno stato d’animo sfuggente come una nuvola, il paesaggio emotivo dell’umor nero nel 1819, quasi due secoli fa, un passato che si rinnova a ogni lettura.
Ode alla Malinconia
1
No, no, non andare al Lete, non strizzare
Le radici salde dall’aconito per un vino velenoso;
Né sopporta che la tua fronte pallida sia baciata
Dalla belladonna, il grappolo rubino di Proserpina;
Non farne un rosario di bacche del tasso,
Né lascia che lo scarabeo, o la falena della morte siano
La tua Psiche luttuosa, né la civetta piumata
Sia tua amante nei misteri del dolore;
Perché l’ombra all’ombra torni troppo placidamente,
E anneghi l’angoscia insonne dell’anima.
2
Ma quando arriverà l’attacco malinconico
Fulmineo dal cielo come una nuvola lacrimosa,
Che nutre tutti i fiori dal capo appassito,
E nasconde la collina verde nel sudario di Aprile;
Nutri allora il tuo dolore con una rosa del mattino,
O con l’arcobaleno di un’onda salata di sabbia,
O con la ricchezza delle peonie rotonde;
O se la tua compagna mostra una rabbia più ricca,
Imprigiona la sua morbida mano, e lascia che deliri,
E nutriti a fondo, profondamente dei suoi occhi senza pari.
3
Sì, Lei abita con la Bellezza – La Bellezza che deve morire;
E la Gioia, la cui mano sta sempre sulle labbra
A invocare l’addio; e vicino il doloroso Piacere,
Che muta in veleno mentre succhia con la bocca d’ape:
Sì, nello stesso tempio del Diletto,
La Malinconia velata ha il suo altare sovrano,
Anche se nessuno la scorge se non colui che con lingua ostinata
Sa schiacciare il grappolo della Gioia sul palato raffinato;
La sua anima avrà il sapore della tristezza della sua potenza,
E rimarrà sospesa tra i suoi trofei nuvolosi.
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Ode on Melancholy
1
No, no, go not to Lethe, neither twist
Wolf’s-bane, tight-rooted, for its poisonous wine;
Nor suffer thy pale forehead to be kiss’d
By nightshade, ruby grape of Proserpine;
Make not your rosary of yew-berries,
Nor let the beetle, nor the death-moth be
Your mournful Psyche, nor the downy owl
A partner in your sorrow’s mysteries;
For shade to shade will come too drowsily,
And drown the wakeful anguish of the soul.
2
She dwells with Beauty—Beauty that must die;
But when the melancholy fit shall fall
Sudden from heaven like a weeping cloud,
That fosters the droop-headed flowers all,
And hides the green hill in an April shroud;
Then glut thy sorrow on a morning rose,
Or on the rainbow of the salt sand-wave,
Or on the wealth of globed peonies;
Or if thy mistress some rich anger shows,
Emprison her soft hand, and let her rave,
And feed deep, deep upon her peerless eyes.
3
And Joy, whose hand is ever at his lips
Bidding adieu; and aching Pleasure nigh,
Turning to poison while the bee-mouth sips:
Ay, in the very temple of Delight
Veil’d Melancholy has her sovran shrine,
Though seen of none save him whose strenuous tongue
Can burst Joy’s grape against his palate fine;
His soul shalt taste the sadness of her might,
And be among her cloudy trophies hung.
[1] L’usignuolo di Keats, pp. 120-123, Altre Inquisizioni, Borges, Feltrinelli, Milano 1993.
[2] Ibidem, p. 121.
[3] Dal greco melancolia, termine dell’antica medicina che indicava uno stato di abbassamento dell’umore che si credeva dovuto a una eccessiva secrezione di bile nera da parte del fegato (in Greco: melanos = nero e chole = bile).
Un pensiero su “Keats e l’umor nero”