Ubi maior minor cessat

Quid cazzus vis? Ammetto mi ha fatto ridere, un commento tra studenti che si passavano online le versioni di latino. Sono organizzatissimi, testi in pdf, elenco completo di versioni tradotte scaricabili comodamente a casa. Tra gli appunti e riflessioni varie sono capitata sulle Lettere a Lucilio di Seneca, riassunto come un rompiballe che asfissiava l’amico con osservazioni continue per il suo bene, ma pur sempre osservazioni. A noi della generazione pre-computer, non succedeva nulla di tutto questo, si copiava direttamente in classe, ancora con il cappotto addosso prima che entrasse il professore, asini consapevoli. Allora per curiosità sono andata a rileggermi qualche passo, giusto per vedere se suscitava una reazione diversa nel mio cuore smaliziato:

1 Mi scrivi che hai dato a un tuo amico delle lettere da consegnarmi; mi inviti poi a non discutere con lui di tutto quello che ti riguarda, poiché tu stesso non ne hai l’abitudine. Così nella stessa lettera affermi e poi neghi che quello è tuo amico. Se usi una parola specifica in senso generico e lo chiami amico come noi chiamiamo “onorevoli” tutti quelli che aspirano a una carica pubblica, oppure salutiamo con un “caro” chi incontriamo, se il nome non ci viene in mente, lasciamo perdere. Ma se consideri amico uno e non ti fidi di lui come di te stesso, sbagli di grosso e non conosci abbastanza il valore della vera amicizia. Con un amico decidi tranquillamente di tutto, ma prima decidi se è un amico: una volta che hai fatto amicizia, ti devi fidare; prima, però, devi decidere se è vera amicizia. Confondono i doveri dell’amicizia, sovvertendone l’ordine le persone che, contrariamente agli insegnamenti di Teofrasto, dopo aver concesso il loro affetto, cominciano a giudicare e, avendo giudicato, non mantengono l’affetto. Rifletti a lungo se è il caso di accogliere qualcuno come amico, ma, una volta deciso, accoglilo con tutto il cuore e parla con lui apertamente come con te stesso. Vivi in modo da non aver segreti nemmeno per i tuoi nemici. Poiché, però ci sono cose che è abitudine tenere nascoste, dividi con l’amico ogni tua preoccupazione, ogni tuo pensiero. Se lo giudichi fidato, lo renderai anche tale. Chi ha paura di essere ingannato insegna a ingannare e i suoi sospetti autorizzano ad agire disonestamente. Perché di fronte a un amico dovrei pesare le parole? Perché davanti a lui non dovrei sentirmi come se fossi solo? C’è gente che racconta al primo venuto fatti che si dovrebbero confidare solo agli amici e scarica nelle orecchie di uno qualunque i propri tormenti. Altri, invece, temono persino che le persone più care vengano a sapere le cose e nascondono sempre più dentro ogni segreto, per non confidarlo, se potessero, neppure a se stessi. Sono due comportamenti da evitare perché è un errore sia a credere a tutti, sia non credere a nessuno, ma direi che il primo è un difetto più onesto, il secondo più sicuro. Allo stesso modo meritano di essere biasimati sia gli eterni irrequieti, sia gli eterni flemmatici. Non è operosità godere dello scompiglio, ma lo smaniare di una mente esagitata, come non è quiete giudicare fastidiosa ogni attività, bensì fiacchezza e indolenza. Ricordala bene, perciò questa frase che ho letto in Pomponio: “C’è chi si tiene così ben nascosto che gli sembra tempesta tutto ciò che succede sotto il sole.” Bisogna saper conciliare queste due opposte tendenze: chi è flemmatico deve agire e deve calmarsi chi è sempre in attività. Consigliati con la natura: ti dirà che ha creato il giorno e la notte. Stammi bene.” (1)

Ora capisco perché ho sempre avuto un debole per gli stoici…

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1. Lettere a Lucilio, Lucio Anneo Seneca, scritte tra il 62-65 d. C., libro I, lettera 3, 1-6, edizione online Ousia a cura di Patrizio Sanasi.

9 pensieri su “Ubi maior minor cessat

  1. Approfitto per chiarire che la CONDIVISIONE non è perdere intere giornate a rispondere a inutili polemiche ma dividere con gli altri quello che ci ha stimolato, in questo caso Seneca, e vedo che gli articoli vengono letti e ampiamente condivisi, nonostante tutto. A volte inviti qualcuno a cena e ti frega pure le posate, altre apprezza. Non è mia abitudine, e non lo sarà, andare a rompere in giro per il gusto di rompere, non lo facevo all’asilo figurarsi ora, se ho qualcosa da dire commento, altrimenti trovo che il silenzio abbia un suo fascino.

    1. beh si vede che eri brava, io ero distratta da mille altri impegni, e a scuola mi sono sempre annoiata. Ho iniziato a studiare seriamente solo all’università. Seneca come tema di maturità, e soprattutto questo testo, mi sembra davvero un colpo di fortuna, a noi ci rifilavano certi mattoni, storie di milizie, strategie militari, confesso che a volte inventavo pure dei pezzi, tanto poi sapevo che avrei rimediato all’orale.

      1. Sì, è stata una bella maturità. Anche io mi annoiavo e di versioni non è che ne abbia fatte molte. Col latino però filava tutto liscio, io lo capivo, lui mi capiva. Il greco…menomale che è uscito latino. Anche se ammetto che la letteratura latina non mi provoca gli stessi brividi di quella greca.

      2. Io invece andavo meglio in greco, “meglio” è relativo, contenta di aver fatto il classico, male, ma qualcosa è rimasto…Ora cosa studi Ventoetempofermo?

    1. Grazie per la visita Paola…ma quello è il bello, filosoficamente parlando e non solo, sappiamo di non sapere…poi fortunatamente ci sono anche degli incontri fortunati 🙂

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