Venezia #3: Giudecca

E se’ or sotto l’emisferio giunto

che contraposto a quel che ha la gran secca

coverchia, e sotto il cui colmo consunto

fu l’uomo che nacque e visse sanza pecca;

tu hai i piedi in su piccola spera,

che l’altra faccia fa de la Giudecca.”

 

Dante, Inferno, XXXIV, vv. 112-117

 

Una striscia di isola ricca di storie sorprendenti, con una fermata di vaporetto dal nome poco invitante, Zitelle, ma che introduce subito la chiesa omonima, attribuita erroneamente al Palladio, un edificio un tempo gestito dai Gesuiti, dove veniva data assistenza alle ragazze povere, senza dote, che spesso finivano prostitute e qui invece imparavano l’arte del ricamo, diventavano merlettaie esperte, specializzandosi nel punto in aria, tecnica che prevedeva l’utilizzo dell’ago e filo come una preziosissima ragnatela. E chissà che destini immaginavano ricamando trame di arabeschi.

Quando approdo su questa parte di Venezia, così lontana e diversa da tutto il resto, mi sembra davvero di entrare in un’altra dimensione, un luogo che ha degli spazi davvero straordinari, con due orizzonti, il lato che si affaccia sul canale della Giudecca, e il lato nascosto dietro la facciata affollato da case che costeggiano la lunghezza dell’isola. Più avanti c’è il carcere femminile, a Sant’Eufemia, un orto chiuso riservato alla coltivazione di frutta e verdura.

I negozi sono pochi, segnalati da insegne anonime, inoltrandomi all’interno, si cominciano a intravedere lenzuola appese, e la vita riprende in modo appartato. Mentre mi sto incamminando in direzione Villa Hériot, alla ricerca della ludoteca perduta, un tempo c’era una biblioteca specializzata in teoria dei giochi, una autentica rarità, trasferita credo a Castello, incrocio due vecchie, parlano tra di loro, una fa all’altra: “Go fatto e seppie, no saveva di un casso.” E mi scappa da ridere. Ritorno sui miei passi verso Sacca Fisola, la punta estrema, dove si staglia imponente il Mulino Stucky, per anni una rovina affascinante, ora un albergo a cinque stelle dove tutto sembra fluire con ordine.

Dietro alla fondamenta, all’inizio degli anni quaranta si giravano film, era stata creata proprio alla Giudecca la sede autarchica di Cinecittà sotto il regime fascista, il Cinevillaggio, dei teatri di posa ricavati all’interno di una ex fabbrica di birra.

Avrebbero dovuto girare una ventina di film all’anno, ma il progetto non decollò, molti registi si defilarono e si produssero una ventina di film, l’ultimo una storia di corna con Osvaldo Valenti, dal titolo esaustivo Un fatto di cronaca.

Nei dintorni dell’area hanno fatto dei bellissimi appartamenti di lusso, sembrano abitati da fantasmi, dalle finestre si vedono cucine hi-tech immacolate.

Il cielo è di una bellezza folgorante, quasi struggente, mi prende una strana malinconia o forse è nostalgia per ciò che non sarà, come quando la voce narrante di E la nave va di Fellini, Orlando, sbalordito dal gesto del terrorista che ha fatto affondare la nave con una bomba, esclama: “Ma come? Proprio ora che si stava innamorando?”…

 

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Un pensiero su “Venezia #3: Giudecca

  1. SEA-SONG di Robert Wyatt da ROCK BOTTOM è un pezzo che il mio amico Alessandro Pizzin aveva abbinato all’articolo quando l’avevo condiviso su fb in illo tempore, e quindi allego anche il suo commento come è giusto che sia: “se posso, aggiungerei che guardando la laguna da una delle finestre dell’isola della Giudecca Robert Wyatt, durante la sua convalescenza dopo l’incidente che lo ha privato dell’uso degli arti inferiori, trasse l’ispirazione per comporre (con un organo Bontempi, pare) l’eterna SEA SONG … struggente capolavoro della sua resurrezione umana ed artistica ..”.

    http://youtu.be/8Co0_BZiLdg

    Robert Wyatt – Sea Song
    “sea song” by robert wyatt, original record version from rock bottom
    24 aprile 2013 alle ore 11.06 · Non mi piace più ·

    Ognuno è libero di fare quello che vuole però se si usano le stesse frasi come esca, beh c’è qualcosa che non va. Poi sì “bottom” vuol dire anche sedere o culo per chi preferisce. Per chi ama le meta-fore oltre alla roccia e al fondo, e qui si è toccato davvero il fondo, volendo ricorda Shakespeare, Bottom è anche il personaggio di “Sogno di una notte di mezza estate”, su cui ho scritto ampiamente in “Asini d’oro”. Fortuna che ho buona memoria, il giardino Eden, un tempo di proprietà di Aspasia di Grecia, ora è una rovina, occhio ai soprannomi.

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