A quiet passion è il film che tenta di riassumere la vita della poetessa Emily Dickinson (1830-1886), chiusa in casa ad Amherst con la sua famiglia – i genitori – il padre è il tesoriere e legale dell’Istituto Amherst, il fratello avvocato Austin e l’adorata sorella Vinnie.
Ora se si esamina solamente il quotidiano, come fa in parte il regista Terence Davies, le mura trasudano dolore nella severità di una educazione puritana dove tutto è rigore e dovere e il piacere è confinato nei pochi secondi impiegati a divorare colpevolmente una fetta di torta ai mirtilli. La notte racchiude segreti che le mura nascondono ed Emily è costretta a chiedere permesso al padre, per poter scrivere di notte, senza allarmare nessuno con la sua luce di candela. Scrive poesie che nessuno capisce, metafore o troppo infantili o troppe astruse, ama le sorelle Bronte e le brughiere dello Yorkshire, legge Elizabeth Gaskell, e non ha per sé altro desiderio che scrivere, nella sua solitudine, nel suo giardino pettinato, non insegue il matrimonio, non sa come comportarsi con gli uomini, prende tutto sul serio, perché il rigore fa parte della sua disciplina monastica. Raccoglie le sue riflessioni in piccoli taccuini numerati e cuciti a mano.
Grazie al sostegno del padre, riesce a farsi fare pubblicare una delle sue poesie. La punteggiatura viene massacrata per farla capire al lettore – questa è la scusa dell’editore – e il nome non compare nemmeno, tanto per dire le cose come stanno.
La delusione è cocente. Quando incontra il reverendo Wadsworth che durante i suoi sermoni si lancia in appassionati commenti sulla Bibbia, crede di aver trovato un interlocutore intelligente che forse potrebbe capire le sue poesie. Infiocchetta un pacchetto di scritti e glieli consegna. Charles Wadsworth li capisce fin troppo bene, ma se ne spaventa e scappa con la moglie spenta, rifugiandosi nelle certezze della preghiera.
Emily continua a scrivere, tra atroci tormenti – ha una malattia ai reni che nessuno sa curare – nei suoi versi metafisici lei può essere quello che è.
Il troppo mi urta – è così insolito per me
Mi sentivo a disagio, spaesata –
Come una bacca di fratta montana
Trapiantata sulla strada.
E non avevo fame, allora capii
Che la fame è l’impulso
Di chi guarda le vetrine da fuori
L’entrare, la toglie.
[1862]